IL CONSIGLIO DI STATO 
              in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) 
 
    Ha pronunciato la presente sentenza non  definitiva  sul  ricorso
numero di registro generale 1911 del 2017,  proposto  dal  Comune  di
Brescia, in persona del legale rappresentante p.t.,  rappresentato  e
difeso  dagli  avvocati  Francesca  Moniga  e  Mauro  Ballerini,  con
domicilio eletto presso lo studio Paolo  Rolfo  in  Roma,  via  Appia
Nuova, n. 96; 
    contro i signori Francesco Passerini  Glazel  e  Maria  Passerini
Glazel Pagano, rappresentati e  difesi  dagli  avvocati  Italo  Luigi
Ferrari, Francesco Fontana e Giorgio Allocca,  con  domicilio  eletto
presso lo studio Giorgio Allocca in Roma, viale Tiziano, n. 108; 
    la Provincia di Brescia non costituita in giudizio; 
    e con l'intervento di ad adiuvandum: 
        l'Associazione  nazionale  dei  comuni  italiani   (Anci)   -
Lombardia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e
difesa dagli  avvocati  Alberto  Fossati  e  Giovanni  Corbyons,  con
domicilio eletto presso lo studio  Giovanni  Corbyons  in  Roma,  via
Cicerone, n. 44; 
        l'Associazione  Legambiente  Onlus,  in  persona  del  legale
rappresentante p.t., rappresentata e difesa  dagli  avvocati  Claudio
Colombo ed Emanuela Beacco, domiciliata ex art. 25 c.p.a.  presso  la
segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro,  n.
13; 
        la Legambiente Onlus, in persona  del  legale  rappresentante
p.t.,  rappresentata  e   difesa   dall'avvocato   Claudio   Colombo,
domiciliata ex art. 25 c.p.a. presso la segreteria del  Consiglio  di
Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13; 
    per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per la Lombardia - Sezione Staccata di Brescia - Sezione I,
17 gennaio 2017, n. 47/2017. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori  Francesco
Passerini Glazel e Maria Passerini Glazel Pagano  ed  il  ricorso  in
appello incidentale da questi proposto; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica  del  giorno  5  ottobre  2017  il
consigliere Fabio Taormina e uditi  per  le  parti  gli  avvocati  M.
Ballerini, I.L. Ferrari e Corbyons anche su delega di C. Colombo; 
    Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n.  47  del  17  gennaio
2017 il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - Sede di
Brescia - ha parzialmente accolto il ricorso proposto  dagli  odierni
appellati signori Francesco Passerini Glazel e Maria Passerini Glazel
Pagano,  teso  ad   ottenere   l'annullamento   della   deliberazione
consiliare n. 128 del 28 luglio 2015, con la quale era stata adottata
una variante generale al PGT (Seconda variante). 
    2. Il Comune di  Brescia  si  era  costituito  chiedendo  che  il
ricorso venisse respinto e, in via  subordinata,  aveva  chiesto  che
laddove la interpretazione dell'art. 5 della legge 28 novembre  2014,
n. 31, fosse stata coincidente con quella  patrocinata  nel  ricorso,
venisse sollevata la questione di illegittimita' costituzionale della
norma medesima in quanto determinante  una  illegittima  compressione
delle potesta' urbanistiche comunali. 
    3.  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  con   la   sentenza
impugnata ha, in via preliminare, ricostruito la fattispecie sotto il
profilo fattuale e giuridico, deducendo che: 
        a) gli originari ricorrenti erano  comproprietari  di  alcuni
terreni situati nel Comune di Brescia, a sud-est del centro  storico,
in continuita' con il quartiere di San Polo; 
        b) il documento di piano del previgente PGT (prima  variante)
aveva inserito  i  suddetti  terreni  nell'ambito  di  trasformazione
denominato  «Ambito  P  -  Parco  San  Polo»,  e  piu'   precisamente
all'interno dell'unita' di intervento «P2 - Via  della  Volta  -  Via
Duca degli Abruzzi»; 
        c) l'obiettivo di interesse pubblico assegnato all'unita'  di
intervento P2, avente  superficie  territoriale  complessiva  pari  a
271.024 mq, era la realizzazione del parco di San Polo,  da  attuarsi
mediante la cessione di ampie aree private a fronte dell'assegnazione
di diritti edificatori: in dettaglio, era  prevista  la  cessione  al
Comune di una superficie minima di 235.664 mq (di cui 234.421  mq  da
destinare a verde pubblico e 1.243 mq da destinare alla  viabilita');
ai lottizzanti era concessa una superficie lorda  di  pavimento  (nel
prosieguo «SLP») nativa pari a 34.628,44 mq e una SLP acquisibile  da
aree  di  compensazione  pari  a  5.540,55  mq  (compresa  la   quota
incentivante),  per  una  SLP  massima  pari  a  40.168,99  mq.;   le
destinazioni  d'uso  ammesse  erano:  residenziale,   direzionale   e
commerciale (quest'ultima nel limite massimo del 20% della SLP); 
        c) l'unita' di intervento P2 era a sua volta suddivisa in sei
lotti privati (P2-a,  P2-b,  P2-c,  P2-d,  P2-f,  P2-g),  un'area  di
compensazione  privata  (Z3)  e  un  lotto  comunale  da  cedere   ai
lottizzanti (P2-e); su quattro lotti (P2-a, P2-c, P2-d,  P2-e)  erano
concentrati i diritti  edificatori  (nativi  o  trasferiti  da  altre
aree), mentre gli  altri  quattro  lotti  corrispondevano  alle  aree
private da cedere al Comune, principalmente per la realizzazione  del
parco di San Polo: i  diritti  edificatori  concentrati  sui  quattro
lotti  edificabili   derivavano   dalla   reiterazione   di   vincoli
espropriativi decaduti e da progetti-norma non  attuati;  infatti  la
realizzazione del parco di San Polo era prevista anche  nei  PRG  del
1980 e del 2002; 
        d) nel previgente PGT l'utilizzazione dei diritti edificatori
era subordinata  a  tre  condizioni:  (i)  l'approvazione  del  piano
attuativo;  (ii)  il  pagamento  di  un  contributo  di   costruzione
straordinario, giustificato come dotazione  di  qualita'  aggiuntiva;
(iii)  l'inserimento  del  progetto  nel  programma  triennale  degli
interventi di trasformazione urbanistica di  cui  all'art.  36  delle
NTA, previo svolgimento di un esame comparativo tra le  proposte  dei
proprietari interessati (tra i criteri di valutazione rientravano  la
sostenibilita' in base alla VAS, la  minimizzazione  del  consumo  di
suolo, la minimizzazione delle perdite di produttivita' agricola,  il
recupero delle aree dismesse e dei siti degradati, la  rilevanza  dei
servizi pubblici previsti nell'intervento, la  presenza  di  edilizia
convenzionata); 
        e) in seguito all'entrata in vigore della legge regionale  28
novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione  del  consumo  di
suolo e per la riqualificazione del suolo degradato), gli  originarii
ricorrenti avevano presentato un progetto di piano attuativo riferito
a tutta l'unita'  di  intervento  P2,  allo  scopo  di  prevenire  la
cancellazione  dei  diritti  edificatori.  Il   progetto   e'   stato
depositato il 24 luglio  2015,  nel  rispetto  del  termine  previsto
dall'art. 5 comma 6 della legge regionale 28  novembre  2014,  n.  31
(pari a trenta mesi dal 2 dicembre 2014, data di  entrata  in  vigore
della suddetta legge regionale); 
        f) il Comune, con la deliberazione consiliare n. 128  del  28
luglio 2015, aveva  pero'  adottato  una  variante  generale  al  PGT
(Seconda variante) e detta nuova disciplina urbanistica aveva: 
          I)  eliminato  dal  documento  di   piano   la   previsione
dell'ambito  di  trasformazione  P,  compresa   la   parte   relativa
all'unita' di intervento P2; 
          II) dei quatto  lotti  dove  erano  concentrati  i  diritti
edificatori, due (P2-a, P2-e)  erano  stati  classificati  come  aree
agricole di cintura (art. 84-a  delle  NTA),  uno  (P2-c)  era  stato
inserito tra le aree di salvaguardia e mitigazione  ambientale  (art.
85-c delle NTA), e l'ultimo (P2-d) era stato inserito, assieme a  uno
dei lotti non edificabili (P2-b), nel nuovo ambito di  trasformazione
AT-E6 «Via Duca degli Abruzzi» (i due  lotti  erano  ora  denominati,
rispettivamente, lotto AT-E6-a e lotto AT-E6-b, il primo  edificabile
per una SLP complessiva pari a 2.400 mq,  il  secondo  da  cedere  al
comune per la realizzazione di parcheggi pubblici al  servizio  della
metropolitana); 
          III) i due  principali  lotti  inedificabili  (P2-f,  P2-g)
erano stati classificati come aree rurali periurbane (art. 85-a delle
NTA) ed erano stati inseriti nel futuro PLIS delle Cave di  Buffalora
e San Polo (art. 87 delle  NTA),  con  l'esclusione  di  due  piccole
porzioni destinate ad attrezzature e spazi aperti; 
          IV) anche l'area di compensazione privata  (Z3)  era  stata
classificata come rurale periurbana, ma non era  stata  inserita  nel
PLIS; 
          V) all'interno della superficie ricadente  nel  PLIS  erano
stati individuati alcuni percorsi ciclopedonali, sottoposti a vincolo
di acquisizione (l'art.  53-d  delle  NTA  prevedeva  in  alternativa
all'indennita'  di  espropriazione,   la   concessione   di   diritti
edificatori). 
        g) la Seconda variante generale confermava, attraverso l'art.
48  delle  NTA,  l'impostazione  dell'art.  36  delle  NTA  del   PGT
previgente, in quanto prevedeva la formazione del programma triennale
degli  interventi  di  trasformazione  urbanistica,  con  la   stessa
disciplina e alcuni criteri integrativi; 
        h) successivamente alla proposizione  del  ricorso  di  primo
grado, il Comune, con deliberazione consiliare n. 17 del  9  febbraio
2016, aveva approvato in via definitiva la Seconda variante  generale
al PGT. 
    3.1. Il Tribunale amministrativo regionale ha  quindi  scrutinato
le censure proposte, affermando la fondatezza  di  quella  incentrata
sulla violazione dell'art. 5,  comma  4,  della  legge  regionale  28
novembre 2014, n. 31, il  quale,  fino  all'adeguamento  del  PGT  in
seguito  all'integrazione  del  PTR  e  all'adeguamento   del   PTCP,
manteneva efficaci  le  previsioni  e  i  programmi  edificatori  del
documento di piano vigente, escludendo quindi che si tratti di  nuovo
consumo di suolo deducendo che: 
        a) la disciplina introdotta dalla legge regionale 28 novembre
2014, n. 31 perseguiva la finalita' di indirizzare la  pianificazione
urbanistica, a tutti i livelli (PTR,  PTCP,  PGT),  verso  un  minore
consumo di suolo;  la  definizione  normativa  di  consumo  di  suolo
introdotta dall'art. 2 comma 1,  lettera  c),  della  predetta  legge
(«trasformazione, per la prima volta, di una superficie  agricola  da
parte di uno strumento di Governo del territorio,  non  connessa  con
l'attivita' agro-silvo-pastorale, esclusa la realizzazione di  parchi
urbani  territoriali»)   aveva   carattere   formale   (prendeva   in
considerazione il territorio non sulla base dello stato dei luoghi ma
per la qualifica che ne era stata data dalla zonizzazione): la stessa
indicazione si ricavava dalla seconda parte della suddetta norma, che
regolava il calcolo del consumo di suolo («rapporto  percentuale  tra
le superfici dei  nuovi  ambiti  di  trasformazione  che  determinano
riduzione delle superfici agricole del vigente strumento  urbanistico
e la superficie urbanizzata e urbanizzabile»); 
        b) poiche' alle aree urbanizzate  erano  assimilate  le  aree
urbanizzabili (quelle che, seppure di fatto ancora libere,  sarebbero
idonee,  secondo  la  disciplina  urbanistica,  a  ospitare   diritti
edificatori), la cancellazione dei piani attuativi previsti  dal  PGT
non costituiva propriamente applicazione della L.R.  n.  31/2014,  ma
rappresentava  piuttosto  un  ripensamento  delle  originarie  scelte
pianificatorie; 
        c) la riduzione del consumo di suolo ai sensi della  suddetta
legge regionale 28 novembre 2014, n. 31 era un'operazione  complessa,
che richiedeva l'adeguamento di tutti i livelli della pianificazione:
in attesa delle direttive regionali e delle indicazioni  provinciali,
i comuni potevano approvare  unicamente  varianti  al  PGT,  e  piani
attuativi in variante al PGT, che non comportassero nuovo consumo  di
suolo, secondo la definizione data dal legislatore regionale, nonche'
varianti finalizzate all'attuazione  degli  accordi  di  programma  a
valenza regionale: cio' ai sensi dell' art. 5 comma 4 della  suddetta
legge. 
    3.2. Sulla scorta di tale premessa, il  Tribunale  amministrativo
regionale ha rilevato che: 
        a)  fino  all'adeguamento  del  PGT,  possibile   solo   dopo
l'integrazione  del  PTR  e  l'adeguamento  del  PTCP,  la  normativa
regionale manteneva  provvisoriamente  efficaci  le  previsioni  e  i
programmi edificatori del PGT in vigore (art. 5, comma 4, della legge
suddetta): ne  discendeva,  che  nel  periodo  transitorio,  potevano
essere approvati e  portati  a  esecuzione  i  piani  attuativi  gia'
previsti ma tale facolta' era pero' subordinata  (art.  5,  comma  6,
della L.R. n. 31/2014)  alla  presentazione  del  progetto  di  piano
attuativo ai sensi dell'art. 14 della L.R.  11  marzo  2005,  n.  12,
anche in variante al PGT, purche' in connessione  con  le  previsioni
dello stesso, nel termine di trenta mesi dall'entrata in vigore della
suddetta legge regionale 28 novembre 2014, n. 31; 
        b) si ricavava, quindi, che la  potesta'  pianificatoria  dei
comuni subiva, nel periodo transitorio, una duplice conformazione: da
un lato, non  era  possibile  programmare  nuovo  consumo  di  suolo,
dall'altro non era possibile cancellare i  piani  attuativi  previsti
dal PGT per  la  sola  ragione  che  comportassero  consumo  di  aree
agricole o di aree libere; 
        c) tale secondo limite, rilevante  per  l'accoglimento  della
censura, si fondava su tre presupposti: 
          I) necessita' di salvaguardare il potere della  Regione  di
uniformare la disciplina del consumo di suolo sull'intero  territorio
regionale, evitando che i proprietari siano esposti, lungo  le  linee
di confine comunali, a vincoli eccessivamente differenziati; 
          II) il consumo di suolo non e' era  concetto  naturalistico
ma  giuridico,  ed  era  misurato  prendendo  come   riferimento   la
disciplina urbanistica  vigente,  con  la  conseguenza  che  i  piani
attuativi gia' previsti non potevano essere considerati  un  ostacolo
sulla via del raggiungimento delle finalita'  della  legge  regionale
suddetta; 
          III) visto che la  legge  regionale  imponeva  di  motivare
persino la sospensione  dei  piani  attuativi  nel  caso  di  mancata
presentazione dei  relativi  progetti,  una  tutela  ancora  maggiore
doveva spettare ai proprietari che si erano tempestivamente  attivati
manifestando il proprio interesse; 
        d) cio' non implicava che la pianificazione comunale restasse
bloccata per un tempo indefinito e non potesse  perseguire  finalita'
di contenimento delle edificazioni,  modificando  le  proprie  scelte
precedenti: ma il nuovo orientamento piu'  restrittivo  doveva  pero'
essere attuato in modo incrementale, rivedendo ogni singolo  progetto
di  piano  attuativo  ed  esponendo  per  ciascuno  le  ragioni   che
inducevano  a  ritenere  non  piu'  conforme  all'interesse  pubblico
l'equilibrio perequativo fatto proprio dal PGT. 
    3.3.  Nella  seconda   parte   della   sentenza,   il   Tribunale
amministrativo regionale ha chiarito la portata dell'accoglimento del
ricorso, precisando che: 
        a) accertato  che  i  piani  attuativi  di  cui  fosse  stato
tempestivamente  presentato  il  progetto  dovevano  restare  esclusi
dall'obiettivo di risparmio di suolo agricolo codificato nella  legge
regionale  n.  31/2014,  non  era  pero'  possibile   attribuire   ai
proprietari un bene della vita  piu'  consistente  di  quello  a  cui
potevano aspirare secondo la disciplina originaria, e quindi  restava
in vigore la  disciplina  di  cui  all'art.  36  delle  NTA  del  PGT
previgente, relativa  al  programma  triennale  degli  interventi  di
trasformazione urbanistica (ripresa e ampliata dall'art. 48 delle NTA
della Seconda variante generale); 
        b) cio' che era mutato era il percorso  di  approvazione  del
programma triennale degli interventi di  trasformazione  urbanistica:
dopo l'entrata in vigore della richiamata legge regionale 28 novembre
2014, n.  31  il  suddetto  programma  diventava  in  definitiva  una
graduatoria dei progetti tempestivamente presentati  dai  proprietari
interessati:  non  era   necessario   pubblicare   un   invito   alla
presentazione  dei  progetti  (avendo  disposto   in   questo   senso
direttamente la legge regionale)  e  non  era  possibile  specificare
ulteriormente i criteri contenuti nell'art.  36  delle  NTA  del  PGT
previgente, essendovi gia' dei progetti presentati; una volta scaduto
il termine di presentazione, l'amministrazione era tenuta  a  formare
una graduatoria e a stabilire con analitica motivazione il numero dei
piani attuativi immediatamente attivabili,  rinviando  alla  scadenza
del  triennio  l'individuazione  del  numero  degli  ulteriori  piani
attuativi attivabili tra quelli presenti in  graduatoria;  ma  nessun
progetto avrebbe potuto essere escluso semplicemente perche' riduceva
le aree agricole o le aree ancora  libere,  mentre  avrebbero  potuto
essere preferiti (salvo bilanciamento con altri criteri)  quei  piani
attuativi che lasciavano intatte maggiori  superfici,  o  disponevano
meglio le edificazioni nelle aree intercluse o ai bordi dell'abitato; 
        c)  i  diritti   edificatori   riconosciuti   a   titolo   di
compensazione per la reiterazione di vincoli  espropriativi  decaduti
non avrebbero potuto essere cancellati  per  confusione  nella  nuova
disciplina urbanistica generale trattandosi di  posizioni  giuridiche
gia'  acquisite  dai  proprietari  che  avevano  subito  l'incertezza
giuridica collegata all'attesa delle  decisioni  dell'amministrazione
sull'utilizzazione  delle  superfici   vincolate:   l'amministrazione
avrebbe dovuto quindi  porsi  il  problema  di  salvaguardare  questi
diritti edificatori,  variando  il  modo  e  la  misura,  ma  non  la
capacita' riparatoria dell'indennizzo. 
    3.4.  Nella   ultima   parte   della   sentenza,   il   Tribunale
amministrativo regionale ha fatto presente che,  quanto  ai  percorsi
ciclopedonali collocati sulle aree degli  originarii  ricorrenti,  la
compensazione  per  i   vincoli   espropriativi   poteva   certamente
consistere in nuovi diritti edificatori, tuttavia, se questi  diritti
non potevano essere utilizzati su un'area  nella  disponibilita'  del
proprietario che subisce l'espropriazione,  sorgeva  il  problema  di
quale fosse il valore della  compensazione  (se  venivano  attribuiti
diritti   edificatori   ma   contemporaneamente   ridotte   in   modo
significativo le potenziali aree di atterraggio, la compensazione non
raggiungeva il suo scopo,  avendo  un  oggetto  privo  di  mercato  e
sostanzialmente non monetizzabile): se non  appariva  necessario  che
l'amministrazione impegnasse gia' al  momento  della  previsione  del
vincolo espropriativo le risorse  finanziarie  per  l'acquisto  della
proprieta', doveva pero' essere svolta una  valutazione  approfondita
sulla capacita' dei diritti edificatori di rappresentare in  concreto
un'equa compensazione. 
    3.4.1. Quanto all'effetto conformativo della sentenza,  e'  stato
precisato dal Tribunale amministrativo regionale che  essa  vincolava
il comune a predisporre un programma triennale  degli  interventi  di
trasformazione urbanistica, prendendo in considerazione i progetti di
piano attuativo presentati tempestivamente entro il  termine  di  cui
all'art. 5, comma 6, della L.R. n. 31/2014, e che (poiche' i  criteri
di valutazione non potevano essere individuati a posteriori)  l'esame
comparativo dovesse essere condotto direttamente sulla base dell'art.
36 delle NTA del PGT previgente (ossia utilizzando la disciplina  che
garantiva il rispetto del principio di certezza del diritto anche per
chi aveva gia' presentato il progetto) restando ferma la possibilita'
per tutti gli interessati di introdurre,  entro  il  termine  di  cui
all'art. 5, comma 6, della L.R. n. 31/2014, modifiche migliorative ai
progetti presentati, e per la conclusione  della  procedura  relativa
alla formazione della graduatoria dei progetti e all'approvazione del
programma triennale degli interventi  di  trasformazione  urbanistica
poteva ritenersi ragionevole un periodo di sei  mesi  dalla  scadenza
del termine previsto dall'art. 5, comma 6,  della  L.R.  n.  31/2014,
mentre le modalita' di  adozione  e  approvazione  dei  progetti  che
rientravano nel numero di quelli attivabili  nel  triennio  avrebbero
dovuto seguire  le  regole  ordinarie  dell'art.  14  della  L.R.  n.
12/2005. 
    4. L'amministrazione comunale, originaria  resistente  e  rimasta
soccombente, ha impugnato la suindicata decisione criticandola  sotto
ogni angolo prospettico,  e,  dopo  avere  riepilogato  (pagg.  1-10-
dell'atto di appello)  le  principali  tappe  infraprocedimentali  ha
dedotto che: 
        a) la sentenza era viziata  ex  art.  105  e  112  codice  di
procedura civile: il comune infatti nelle propria memorie  depositate
in primo grado in data 4 dicembre 2015  e  16  settembre  2016  aveva
chiesto  che  -  ove  la  interpretazione  dell'art.  5  della  legge
regionale 28 novembre 2014, n. 31 fosse stata quella patrocinata  nel
ricorso  -  venisse  sollevata   la   questione   di   illegittimita'
costituzionale della medesima in quanto determinante una  illegittima
compressione delle potesta' urbanistiche comunali: detta domanda  non
era stata vagliata dal Tribunale amministrativo regionale; 
        b)  era  errata   la   interpretazione   che   il   Tribunale
amministrativo regionale  aveva  fornito  della  legge  regionale  28
novembre 2014, n.  31  non  avvedendosi  che  la  variante  impugnata
soddisfaceva lo  scopo  (unico)  della  legge  suddetta:  ridurre  il
consumo del suolo (scopo altrimenti impossibile  da  raggiungere,  in
quanto, secondo la  tesi  sposata  dalla  sentenza,  la  salvaguardia
dell'affidamento di chi aveva presentato un piano  attuativo  avrebbe
determinato l'esaurimento  delle  potenzialita'  edificatorie  per  i
prossimi 10  anni  poiche'  il  suolo  agricolo  sarebbe  gia'  stato
consumato); 
        c)   ha   riproposto   la   questione    di    illegittimita'
costituzionale della legge regionale 28 novembre  2014,  n.  31  (con
riferimento ai parametri di cui agli articoli 5, 114, 118, 117, comma
2, lettera p) e 117, comma 3 della  Costituzione)  sottolineando  che
ove fosse stata  esatta  la  tesi  del  primo  Giudice,  detta  legge
impediva che i  comuni  esercitassero  funzioni  amministrative  loro
proprie; 
        d) quanto alla questione afferente alla programmazione  degli
interventi edificatori (gia' regolata dall'art. 36 delle NTA del  PRG
previgente e poi ripresa quasi alla lettera dall'art.  48  delle  NTA
della Variante al PGT), cui la sentenza aveva dedicato i capi  22-25,
risultava violato il disposto di cui all'art. 34 del c.p.a; 
        e) i capi 26-27- 28 violavano il disposto di cui all'art.  34
del  c.p.a  ed   erano   manifestazione   evidente   del   vizio   di
ultrapetizione, in quanto gli originari  ricorrenti  di  primo  grado
nulla avevano dedotto o chiesto in proposito; 
        f) erano affetti da violazione di legge per  errata  e  falsa
applicazione di legge (art. 9 e 11 legge regionale lombarda n. 12/05)
anche i capi da 29 a  31  della  sentenza,  in  materia  di  percorsi
ciclopedonali; 
        g) violavano il disposto di cui all'art. 34 del c.p.a. i capi
36 e 37 della  sentenza  con  i  quali,  sostanzialmente,  era  stata
dettato  il  «quando»  ed  il  «quomodo»   della   futura   attivita'
programmatoria comunale. 
    5. In data 10 aprile 2017 i signori Francesco Passerini Glazel  e
Maria Passerini  Glazel  Pagano,  originari  co-ricorrenti  di  primo
grado, si sono  costituiti  depositando  una  memoria  contenente  un
appello incidentale nell'ambito del quale  hanno  fatto  presente  in
punto di fatto che: 
        a) la sentenza appellata aveva deciso il ricorso n.  2289/15,
proposto contro l'adozione della Seconda variante al PGT di  Brescia,
che aveva eliminato l'Ambito di Trasformazione (di seguito  AT)  «P»,
entro  cui  ricadevano  le  aree  di  proprieta'   degli   originarii
ricorrenti; 
        b) successivamente all'adozione della Seconda variante al PGT
di Brescia, gli originari ricorrenti avevano presentato al Comune  di
Brescia osservazioni al progetto di  variante,  chiedendo  che  fosse
ripristinata la disciplina urbanistica del PGT  2012  (la  previsione
della UMI P.2 e delle potenzialita' edificatorie ad  essa  inerenti),
affinche' potesse essere  approvato  e  convenzionato  celermente  il
progetto di Piano  attuativo,  gia'  presentato  prima  dell'adozione
della Seconda variante; 
        c) dette osservazioni  erano  state  respinte  dal  Consiglio
comunale con la deliberazione n. 17/2016, perche' la  loro  richiesta
era  stata  ritenuta  in  contrasto  con  i  principi  della  Seconda
variante, asseritamente diretta a «minimizzare» il consumo di suolo; 
        d) il Consiglio comunale aveva definitivamente  approvato  la
Seconda variante al PGT di Brescia,  con  deliberazione  n°17  del  9
febbraio 2016, confermando quella nuova disciplina  urbanistica  gia'
censurata con il ricorso n. 2289/15 deciso con  la  sentenza  oggetto
della odierna impugnazione, per cui gli originari ricorrenti  avevano
dovuto  impugnare  anche  l'approvazione  definitiva  della   Seconda
variante (ricorso n. 1003/2016,  tuttora  pendente,  ove  sono  state
ribadite le censure gia' svolte nel ricorso n. 2289/15). 
    Nel  merito,  la  tesi  del  comune  appellante  era   certamente
infondata in quanto: 
        a) la disposizione del  comma  4,  dell'art  5,  della  legge
regionale  28  novembre  2014,  n.  31  secondo  cui  «sono  comunque
mantenute le previsioni e i programmi edificatori  del  documento  di
piano vigente» determinava la conseguenza che nel periodo transitorio
al  comune  era  vietato  eliminare  le  previsioni  e  i   programmi
edificatori del documento di piano vigente; 
        b) l'appello  del  comune  obliava  tale  dato  normativo,  e
semplicemente lo ignorava, allorche' proponeva  la  tesi  secondo  la
quale "ai comuni e' inibito prevedere nuove  espansioni  edificatorie
(fatte salve le specifiche eccezioni contemplate dall'art. 5, comma 4
della  legge),  ma  non  e'  certo  vietato  limitare  le  previsioni
edificatorie contenute nel PGT vigente"; 
        c)  la  tesi  secondo  cui  l'eliminazione   di   Ambiti   di
trasformazione, gia' previsti e destinati  all'edificazione  dal  DdP
del  PGT  vigente,  perseguirebbe  l'obiettivo  della  riduzione  del
consumo di suolo in conformita' allo spirito della  legge  regionale,
collideva con l'art. 2 della legge regionale 28 novembre 2014, n. 31:
l'eliminazione degli ambiti di trasformazione previsti  dal  DdP  del
PGT   vigente,   incidendo   su   aree   qualificabili   come   «aree
urbanizzabili», gia' formalmente impegnate per il consumo di suolo (e
quindi gia' computate nel suolo consumato), non valeva a  ridurre  in
senso giuridico il consumo di suolo (ed era  di  converso  certamente
corretta l'affermazione contenuta nella  impugnata  sentenza  secondo
cui il  consumo  di  suolo  «non  e'  un  concetto  naturalistico  ma
giuridico»); 
        d) le considerazioni  contenute  nel  parere  regionale  reso
nell'ambito del procedimento di formazione del vigente PGT del comune
(DGR 8 febbraio 2012, n. 2992) non  potevano  essere  arbitrariamente
richiamate  per  interpretare  la  fondamentale  legge  regionale  28
novembre 2014, n. 31 in termini contrari al  tenore  letterale  della
stessa; 
        e) il paventato pericolo  di  totale  saturazione  del  suolo
agricolo era insussistente: le previsioni edificatorie  degli  ambiti
di trasformazione del PGT vigente erano state attuate solo in  minima
parte e nessuno degli ambiti  di  trasformazione  attivati  risultava
concluso; 
        f) il quarto gruppo di censure  (volte  a  criticare  i  capi
22-23-24 della sentenza) con le quali  il  comune  si  doleva  di  un
presunto  «straripamento»  della   sentenza,   che   avrebbe   invaso
prerogative  spettanti  all'ente  pianificatore,  era  infondato:  il
Tribunale amministrativo regionale  aveva  preso  atto  invece  della
circostanza  che  il  Legislatore  regionale,   con   la   disciplina
transitoria contenuta  nell'art.  5  LR  31/14,  motivatamente  aveva
riconosciuto  una  posizione  di  speciale  affidamento  in  capo  ai
proprietari di aree incluse in Ambiti di trasformazione ai  quali  il
PGT vigente (alla data di  entrata  in  vigore  della  legge  stessa)
riservava previsioni edificatorie; 
        g)   era   errato   affermare   (quinta   censura   contenuta
nell'appello) che i capi 26-27 e 28 della  sentenza  sarebbero  stati
pronunciati ultra petita; la sentenza di primo grado era coerente con
la circostanza che gli originarii  ricorrenti  avevano  impugnato  la
Seconda  variante  deducendo  l'illegittimita'   della   eliminazione
dell'ambito di trasformazione P per violazione dell'espresso  divieto
contenuto nell'art. 5 della L.R. 31/14 deducendo,  inoltre,  che  «la
L.R. 12/2005 e la L.R. 31/2014 convergono nel fondare  ed  inspessire
la posizione di aspettativa qualificata e di legittimo affidamento in
capo ai proprietari di aree incluse in ambiti di  trasformazione  dal
Documento di piano del PGT vigente, specialmente entro il quinquennio
di validita' del Documento»; 
        h)  anche  i  capi  29-31  della  sentenza,  riguardanti  gli
impugnati vincoli preordinati all'esproprio per la  realizzazione  di
attrezzature e percorsi ciclopedonali, erano immuni da mende. 
    5.1. Nella seconda parte della memoria  l'appellante  incidentale
ha: 
        a) confutato il dubbio di incostituzionalita'  attingente  le
prescrizioni  della  legge  regionale  28  novembre   2014,   n.   31
prospettato dal comune appellante evidenziando che la censura avrebbe
potuto possedere un barlume di fondatezza laddove la  legge  predetta
fosse stata totalmente  interdittiva  della  potesta'  pianificatoria
comunale nel periodo  transitorio  e  quest'ultimo  non  fosse  stato
temporalmente contenuto: ma  cosi'  certamente  non  era;  il  comune
infatti  rimaneva  titolare  del   potere   di   approvare   varianti
urbanistiche che non comportassero incremento del consumo  di  suolo,
purche' mantenendo le previsioni edificatorie relative agli ambiti di
trasformazione del DdP vigente; 
        b) impugnato in via incidentale i capi nn. 22,  23,  24,  25,
33, 34 e 35 della sentenza nella parte in cui, respingendosi i motivi
di impugnazione proposti in primo grado nel par. 2 del ricorso: 
          I)  era  stato  giudicato  compatibile  con  la  disciplina
transitoria  della  LR  31/14  (art.  5)  il  meccanismo   gestionale
denominato «programma triennale degli  interventi  di  trasformazione
urbanistica», come disciplinato dagli articoli 36 NTA PGT 2012  e  48
NTA della Seconda variante; 
          II) era stato ammesso che, a determinate condizioni,  nella
formazione della graduatoria dei progetti potesse trovare  spazio  la
volonta' dell'amministrazione di introdurre una disciplina  in  peius
per i proprietari; 
        c)  ha  impugnato  i  capi  della  decisione  del   Tribunale
amministrativo regionale suindicata nn. 22-25 e 33-35 nella parte  in
cui   questi   ultimi   avevano   «disegnato»   le   condizioni   cui
l'amministrazione avrebbe  dovuto  improntare  la  propria  attivita'
relativa all'approvazione del programma triennale degli interventi di
trasformazione urbanistica conseguente alla  statuizione  demolitoria
contenuta nell'appellata decisione 
    6. In data 10  aprile  2017  l'A.n.c.i.  (associazione  nazionale
comuni italiani) si e' costituita ad adiuvandum nell'odierno grado di
giudizio chiedendo di accogliere  l'appello  per  le  stesse  ragioni
prospettate dal Comune di Brescia nel proprio atto di appello. 
    7. In data 14 aprile 2017 l'associazione Legambiente onlus si  e'
costituita ad adiuvandum nell'odierno grado di giudizio chiedendo  di
accogliere l'appello per le stesse ragioni prospettate dal Comune  di
Brescia nel proprio atto di appello. 
    8. Alla Camera di consiglio del 20 aprile  2017  fissata  per  la
delibazione della istanza di  sospensione  della  esecutivita'  della
impugnata decisione la Sezione con la ordinanza n. 1696 del 21 aprile
2017 ha accolto l'appello cautelare «rilevato che l'appello cautelare
prospetta delicate problematiche (tra le quali anche il  sospetto  di
incostituzionalita' della disposizione di cui all'art. 5 della  legge
regionale della Lombardia  28  novembre  2014,  n.  31)  da  vagliare
compiutamente con sollecitudine  nella  competente  sede  di  merito;
rilevato peraltro che nelle more della delibazione di  merito  appare
doveroso non adottare  statuizioni  dalle  quali  possano  discendere
effetti  irreversibili  e  che  appare  in  tal  senso  preponderante
l'interesse  prospettato  dall'amministrazione  comunale  appellante;
rilevato che puo' sin d'ora fissarsi la trattazione del  merito  alla
pubblica udienza del 5 ottobre 2017.». 
    9. In data 30 agosto 2017 il Comune di Brescia ha depositato  una
articolata memoria, riproponendo e puntualizzando le proprie tesi,  e
deducendo che: 
        a) sebbene l'art. 5 della legge regionale 28  novembre  2014,
n. 31, fosse  stato  di  recente  novellato  (ad  opera  della  legge
regionale 26  maggio  2017,  n.  16),  tale  sopravvenuto  intervento
normativo  non  implicava  la  improcedibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale prospettata in via subordinata,  ed  anzi
ne rafforzava la plausibilita' in quanto: 
          I)   la   modifica   legislativa   non   spiegava   effetti
retroattivi; 
          II)  la  variante  impugnata  si  era  conformata  ad   una
interpretazione dell'antevigente testo  della  norma  collidente  con
quella resa dal Tribunale amministrativo regionale; 
          III) la «novella»  almeno  in  parte,  disinnescava  talune
critiche mosse a tale interpretazione della norma (il  che,  appunto,
rafforzava la plausibilita' della  questione  sollevata)  ma  ove  la
disposizione non fosse dichiarata incostituzionale  l'effetto  ultimo
sarebbe stato quello dell'annullamento della  variante:  infatti,  la
«novella»  aveva  si'   riattribuito   ai   comuni   piena   potesta'
pianificatoria e, in coerenza con il dettato  normativo  della  legge
regionale n. 31/14, aveva imposto il rispetto del bilancio ecologico,
ma aveva altresi' riconfermato l'inibizione a carico  dei  comuni  di
pianificare con riferimento agli Ambiti per i quali era stata chiesta
l'approvazione nel periodo transitorio dicembre 2014 / maggio 2017; 
          IV)  inoltre,  dovevano  essere   certamente   accolte   le
ulteriori censure mosse alla seconda parte della sentenza  che  aveva
preteso di conformare la futura azione dell'Amministrazione; 
          V) l'appello incidentale di  controparte  era  sfornito  di
qualsivoglia fumus e doveva essere respinto. 
    10. In data 1° settembre 2017 le parti  appellate  ed  appellanti
incidentali hanno depositato una memoria deducendo che: 
        a) gli argomenti esposti negli interventi ad  adiuvandum  non
erano accoglibili, in quanto collidenti con il piano tenore letterale
dell'art. 5, comma 4, legge regionale 28  novembre  2014,  n.  31  (e
dell'art. 2, comma 3, e 5, commi 6 e 9, della legge predetta)  e  con
le considerazioni esposte dal Tribunale amministrativo  regionale  al
capo 20 della impugnata sentenza (« (a) e'  necessario  salvaguardare
il potere della Regione di uniformare la disciplina  del  consumo  di
suolo sull'intero territorio regionale, evitando  che  i  proprietari
siano  esposti,  lungo  le  linee  di  confine  comunali,  a  vincoli
eccessivamente differenziati; 
    (b) il consumo di suolo, come  si  e'  visto  sopra,  non  e'  un
concetto naturalistico ma giuridico, ed e'  misurato  prendendo  come
riferimento la disciplina urbanistica vigente, con la conseguenza che
i piani attuativi gia' previsti non  possono  essere  considerati  un
ostacolo sulla via del raggiungimento delle finalita' della  L.R.  n.
31/2014; 
    (c)  se  la  legge  regionale  impone  di  motivare  persino   la
sospensione dei piani attuativi nel caso di mancata presentazione dei
relativi progetti, una  tutela  ancora  maggiore  deve  evidentemente
spettare  ai  proprietari  che  si  siano  tempestivamente   attivati
manifestando il proprio interesse».); 
        b) la sopravvenuta modifica della legge regionale 28 novembre
2014, n. 31 non spiegava effetti pratici sulla controversia in quanto
la manipolazione del comma 4 dell'art. 5 non era  sostanziale:  detta
previsione, espunta, era stata traslata nella modifica  del  comma  9
del medesimo articolo, e valeva  a  salvaguardare  la  posizione  dei
proprietari che si fossero (gia')  attivati  ed  avessero  presentato
l'istanza di cui al comma 6 di approvazione del piano attuativo. 
    11. In data 4 settembre 2017 l'interveniente  Anci  Lombardia  ha
depositato una memoria, deducendo che: 
        a) il Consiglio regionale della Lombardia aveva approvato  la
legge 26 maggio 2017, n. 16, concernenti modifiche  della  disciplina
transitoria dell'art. 5 della L.R. n. 31/2014; 
        b)  detta  sopravvenuta  normativa   aveva   esplicitato   la
sussistenza del potere di variante del PGT -  anche  in  riduzione  -
delle aree di trasformazione edificabili ed aveva posto  invece  come
limite invalicabile, in caso  di  una  diversa  localizzazione  delle
aree, il rispetto dell'invarianza del bilancio  ecologico  del  suolo
che  non  potrebbe  mai  essere  superiore   a   zero   (la   diversa
localizzazione delle aree non poteva superare la soglia di superficie
trasformabile originariamente prevista, mentre  per  la  variante  in
riduzione non era stato fissato alcun limite; 
        c) tuttavia,  cio'  non  comportava  la  conseguenza  che  la
interpretazione della  antevigente  versione  della  legge  resa  dal
Tribunale  amministrativo  regionale  fosse  esatta,  in  quanto   il
previgente  regime  aveva  effettivamente  escluso  la  facolta'   di
riduzione; 
        d) invero gia' l'originario testo della legge  doveva  essere
interpretato in  senso  difforme  da  quello  esposto  dal  Tribunale
amministrativo regionale nella  sentenza  impugnata,  in  quanto  una
interpretazione «logica»  avrebbe  dovuto  condurre  a  ritenere  che
l'impianto del regime transitorio dell'art. 5 si reggeva sul  divieto
di consumo di nuovo suolo sinche' non si fosse compiuto  il  processo
di adeguamento previsto dalla legge; 
        e)  neppure  dalle  norme  procedimentali  dell'art.  5   era
possibile ricavare un divieto al potere  comunale  di  riduzione:  la
norma sulla presentazione di piani conformi  o  in  variante  al  PGT
entro il termine di 30 mesi dall'entrata in  vigore  della  legge,  o
sulla stipula della convenzione di quelli gia' approvati nel  termine
tassativo di 12 mesi dall'intervenuta esecutivita' della delibera  di
approvazione definitiva (art. 5, comma 6) - al  pari  del  successivo
comma 7 dell'art. 5 che stabiliva termini abbreviati per la nomina  e
la decisione del commissario ad acta regionale  in  caso  di  inerzia
comunale, avevano unicamente natura  acceleratoria,  in  nessun  modo
potevano  essere  interpretate  qual  costitutive  di  una  posizione
giuridica soggettiva intangibile, sottratta  al  potere  comunale  di
disciplinare il territorio, anche con l'eliminazione  dell'ambito  di
trasformazione  a  cui  la  proposta   si   riferiva:   dette   norme
acceleratorie spiegavano la funzione (non di  tutelare  l'aspettativa
del privato rimasto inerte  ma)  di  imporre  al  privato  stesso  un
termine per manifestare la sua concreta intenzione di dare attuazione
alla previsione pianificatoria, come dimostrato dalla circostanza che
il successivo comma  9  (testo  previgente)  dell'art.  5  sanzionava
l'inerzia con la sospensione delle  previsioni  urbanistiche  vigenti
che il comune non aveva inteso modificare; 
        f)  era,  quindi,  irragionevole  sostenere  che  ai   comuni
lombardi fosse stata preclusa,  anche  nel  periodo  transitorio,  la
possibilita' di praticare politiche  di  riduzione  del  consumo  del
suolo e di rigenerazione urbana (finalita' cui  tende  esplicitamente
la L.R. n. 31/2014): sussisteva quindi il potere comunale di variante
in riduzione anche nella vigenza del vecchio testo dell'art. 5  della
L.R. n. 31/2014; 
        g) le nuove regole (commi 4, 5, 9 dell'art. 5 della legge del
2014,nel testo modificato dalla legge 26 maggio 2017, n. 16)  avevano
unicamente confermato l'esistenza di questo potere. 
    12. In data 12 settembre 2017 l'interveniente Anci  Lombardia  ha
depositato una memoria di replica, puntualizzando le proprie difese. 
    13. In data 12 settembre 2017 le parti  appellate  ed  appellanti
incidentali hanno depositato una memoria di  replica,  puntualizzando
le proprie difese. 
    14. Alla odierna pubblica udienza del 5 ottobre 2017 la causa  e'
stata trattenuta in decisione 
 
                               Diritto 
 
    1. Ritiene il Collegio che  l'appello  principale  sia  in  parte
infondato, e vada pertanto respinto, laddove sostiene che la sentenza
sia viziata ex art.  112  codice  di  procedura  civile;  ritiene  di
converso  il  Collegio  che  sia  rilevante  e   non   manifestamente
infondata, nei  termini  che  verranno  esposti  in  motivazione,  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  della  suindicata  legge
regionale  28  novembre  2014,   n.   31   prospettata   nell'appello
principale; ritiene, quindi, il Collegio che debba  essere  sollevata
la questione  di  legittimita'  costituzionale  relativa  alla  legge
regionale menzionata e che il processo debba essere sospeso; tutte le
altre censure  prospettate  nell'appello  principale  e  nell'appello
incidentale  non  possono  essere  allo  stato  decise,   in   quanto
dall'esito della decisione della Corte costituzionale in ordine  alla
questione sollevata  dipendera'  la  procedibilita'  delle  medesime,
nella parte in cui, per speculari ragioni, esse attingono i capi 22 e
segg.  della  impugnata   sentenza   laddove   sono   state   dettate
prescrizioni in punto di futura attivita' programmatoria  del  comune
conseguenti all'annullamento degli atti impugnati. 
    1.1. Preliminarmente il Collegio evidenzia che: 
        a) a mente del combinato disposto degli articoli articoli 91,
92 e 101, comma 1, c.p.a., fara' esclusivo riferimento  ai  mezzi  di
gravame posti a sostegno dei ricorsi in appello, senza  tenere  conto
di   ulteriori   censure   sviluppate   nelle    memorie    difensive
successivamente depositate, in  quanto  intempestive,  violative  del
principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione  e  della  natura
puramente illustrativa delle comparse conclusionali (cfr. ex plurimis
Cons. Stato sez. V, n. 5865 del 2015); 
        b) le parti concordano in ordine alla ricostruzione  fattuale
e cronologica della  vicenda  infraprocedimentale  siccome  descritta
nella parte in fatto della decisione di primo  grado  impugnata,  per
cui, anche al fine di non appesantire il presente  elaborato,  ed  in
ossequio al principio di sinteticita', si fara' integrale riferimento
sul punto alle affermazioni del  Tribunale  amministrativo  regionale
(art. 64 comma II del c.p.a.); 
        c) l'appello principale e' senz'altro ammissibile  in  quanto
ivi  si   propongono   critiche   dettagliate   e   specifiche   alle
argomentazioni contenute nella impugnata decisione, il che implica la
reiezione  della  eccezione  di  inammissibilita'  del  medesimo  per
genericita' sollevate dalla difesa delle parti originarie  ricorrenti
di primo grado; 
        d) e' inaccoglibile (e comunque, per quanto si  chiarira'  di
seguito, la parte appellante non avrebbe  interesse  a  proporla)  la
censura secondo la quale la sentenza dovrebbe essere dichiarata nulla
in quanto resa in violazione del principio di cui all'art. 112 codice
di procedura civile a cagione della circostanza che  non  si  sarebbe
pronunciata sulla  eccezione  subordinata  formulata  dall'appellante
Comune di Brescia di  sospetta  illegittimita'  costituzionale  della
disposizione di cui all'art. del 5 della legge regionale 28  novembre
2014, n. 31, in quanto: 
          I) per costante giurisprudenza che  il  Collegio  condivide
«l'omessa pronuncia, da parte del giudice di primo grado, su  censure
e motivi di impugnazione costituisce tipico  errore  di  diritto  per
violazione del principio  di  corrispondenza  tra  il  chiesto  e  il
pronunciato, deducibile in sede di appello  sotto  il  profilo  della
violazione del disposto di cui  all'art.  112,  codice  di  procedura
civile, che e' applicabile al processo amministrativo» (tra le  tante
Consiglio Stato, sez. IV, 16 gennaio 2006, n. 98); 
          II)  ma  -   stabilisce   la   consolidata   giurisprudenza
amministrativa - «il vizio  di  omessa  pronuncia  su  un  vizio  del
provvedimento impugnato deve essere accertato  con  riferimento  alla
motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare  gli
aspetti formali, cosicche' esso puo' ritenersi  sussistente  soltanto
nell'ipotesi in cui risulti  non  essere  stato  esaminato  il  punto
controverso e non quando,  al  contrario,  la  decisione  sul  motivo
d'impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione decisoria di
segno contrario ed incompatibile» (Consiglio Stato, sez. VI, 6 maggio
2008, n. 2009); 
          III) nel caso di specie detto vizio non ricorre, in  quanto
la sentenza di primo grado ha - seppur sinteticamente -  chiarito  il
proprio convincimento contrario alla fondatezza  della  eccezione  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 5 della legge regionale della
Lombardia n. 31 del 2014 al considerando n. 21 («Questo non significa
che la pianificazione comunale sia bloccata per un tempo indefinito e
non possa perseguire finalita' di  contenimento  delle  edificazioni,
modificando le proprie scelte precedenti. Il nuovo orientamento  piu'
restrittivo deve pero' essere attuato in modo incrementale, rivedendo
ogni singolo progetto di piano attuativo, ed esponendo  per  ciascuno
le ragioni che inducono a ritenere non  piu'  conforme  all'interesse
pubblico l'equilibrio perequativo fatto proprio dal PGT.») 
          IV) in ogni caso, il comune non ha interesse a sollevare la
censura posto che per  risalente  quanto  consolidata  giurisprudenza
(pienamente attuale ai sensi dell' art. 105 del  c.p.a.)  «l  'omessa
pronuncia su una o piu' censure proposte col ricorso  giurisdizionale
non  configura  un   error   in   procedendo   tale   da   comportare
l'annullamento  della  decisione,  con   contestuale   rinvio   della
controversia  al  giudice  di  primo  grado,   ma   solo   un   vizio
dell'impugnata sentenza che il giudice di appello e'  legittimato  ad
eliminare integrando la motivazione carente  o,  comunque,  decidendo
del merito della causa» (Consiglio Stato, sez. IV, 19 giugno 2007, n.
3289)  ed  il  Collegio  provvedera'  a   scrutinare   la   doglianza
immediatamente di seguito. 
    1.2. In punto di fatto, la questione per cui si  controverte,  e'
cosi' sintetizzabile: la parte originaria ricorrente possiede  alcuni
immobili ricompresi (ai sensi dalla disciplina ad essi  impressa  dal
PGT del 2012) in un Ambito di trasformazione;  nel  2014  la  Regione
Lombardia ha approvato la legge 28 novembre 2014, n. 31 che ha tra  i
propri obiettivi la riduzione del consumo del suolo; l'art.  5  della
suindicata  legge  regionale  detta  una   disposizione   di   natura
transitoria; sulla scorta della (asserita)  previsione  di  cui  alla
menzionata norma transitoria, la parte originaria ricorrente presenta
una istanza (contenente un progetto di  piano  attuativo  riferito  a
tutto l'Ambito di trasformazione, unita' di intervento P2)  ai  sensi
del comma 6 ivi contenuto e nei termini dallo stesso prescritti, e si
aspetterebbe che, proprio in forza delle previsioni  contenute  nella
norma  transitoria,  e  della  circostanza  che  essa  ha  presentato
l'istanza nei tempi ivi stabiliti,  detto  piano  venisse  assentito;
medio tempore, pero', il comune ha adottato - e poi approvato  -  una
variante  generale  che  ha  eliminato  dal  documento  di  piano  la
previsione dell'ambito di trasformazione suddetto (variante  che  non
e' contestato abbia contenuto peggiorativo  per  la  posizione  degli
originari ricorrenti); questi ultimi sono insorti, ed hanno  rilevato
il contrasto  delle  previsioni  contenute  nella  variante  generale
suddetta  con  la   sopracitata   legge   regionale;   il   Tribunale
amministrativo regionale ha accolto detta tesi  ed  ha  annullato  in
parte qua la  variante,  dettando  poi,  nella  seconda  parte  della
sentenza  le  prescrizioni  cui  si  sarebbe  dovuta  improntare   la
successiva attivita' pianificatoria del comune. 
    2. Cio' premesso, e venendo all'esame del merito delle  doglianze
proposte, seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo  le
coordinate ermeneutiche  dettate  dall'Adunanza  plenaria  n.  5  del
2015), in ordine logico e' prioritario l'esame del  primo  motivo  di
doglianza «di merito» proposto dal  Comune  di  Brescia,  secondo  il
quale  la  sentenza  di  primo  grado  avrebbe   frainteso   e   male
interpretato il disposto di cui all'art. del 5 della legge  regionale
28 novembre 2014, n. 31 (ed avrebbe  erroneamente  ritenuto,  quindi,
che la avversata variante fosse contra legem). 
    2.1. La delibazione di tale censura e' pregiudiziale in quanto: 
        a) ove la stessa fosse accolta, non vi sarebbe necessita'  di
scrutinare la - subordinata-questione di legittimita'  costituzionale
(che viene infatti prospettata nella sola ipotesi in cui il  Collegio
ritenga che la suindicata disposizione debba  necessariamente  essere
interpretata nel senso chiarito dal t.a.r.); 
        b) trattasi di una esigenza sistematica,  in  quanto  e'  ben
noto che per condivisa e costante giurisprudenza (tra le tante  Corte
Conti reg., - Sicilia  -  sez.  giurisd.,  4  luglio  2005,  n.  149,
Cassazione civile, sez. I, 28 novembre 2003, n. 18200,  Consiglio  di
Stato, sez. V,  30  ottobre  1997,  n.  1207),  sulla  falsariga  dei
fondamentali  insegnamenti  della   Corte   costituzionale,   si   e'
costantemente affermato che fra piu' interpretazioni possibili  delle
norme giuridiche positive, l'interprete deve privilegiare solo quella
piu' conforme alla Costituzione. 
    2.2. Cio' premesso, il Collegio non e' persuaso della  fondatezza
della tesi prospettata dall'appellante Comune di Brescia,  in  quanto
sembra al Collegio che il testo della norma sia  stato  correttamente
interpretato dal Tribunale amministrativo regionale. 
    2.2.1. Invero, il testo originario della  legge  regionale  della
Lombardia 28 novembre 2014,  n.  31  (recante  «Disposizioni  per  la
riduzione del consumo di suolo e per la  riqualificazione  del  suolo
degradato») all'art. 1 (recante «finalita' generali» e del  quale  e'
bene riportare  per  esteso  l'articolato)  enuncia  la  ratio  della
propria esistenza  e  gli  obiettivi  che  essa  intende  perseguire,
laddove  prevede  che:  «1.  La  presente  legge  detta  disposizioni
affinche' gli strumenti di Governo del territorio, nel  rispetto  dei
criteri di sostenibilita' e di minimizzazione del consumo  di  suolo,
orientino gli interventi edilizi prioritariamente verso le aree  gia'
urbanizzate, degradate o dismesse ai sensi dell'art.  1  della  legge
regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il Governo del territorio),
sottoutilizzate da riqualificare  o  rigenerare,  anche  al  fine  di
promuovere e non  compromettere  l'ambiente,  il  paesaggio,  nonche'
l'attivita' agricola, in coerenza con  l'art.  4-quater  della  legge
regionale 5 dicembre 2008, n. 31 (Testo unico delle  leggi  regionali
in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale). 
    2.  Il  suolo,  risorsa  non  rinnovabile,  e'  bene  Comune   di
fondamentale importanza per l'equilibrio ambientale, la  salvaguardia
della salute, la produzione agricola finalizzata  alla  alimentazione
umana e/o animale, la tutela degli ecosistemi naturali  e  la  difesa
dal dissesto idrogeologico. 
    3. Le disposizioni della presente  legge  stabiliscono  norme  di
dettaglio nel quadro  ricognitivo  dei  principi  fondamentali  della
legislazione statale vigente in materia di Governo del territorio. 
    4. In particolare, scopo della presente legge e' di concretizzare
sul  territorio  della  Lombardia   il   traguardo   previsto   dalla
Commissione europea di giungere entro il 2050 a una occupazione netta
di terreno pari a zero.». 
    Il successivo art. 2 (recante «definizioni di consumo di suolo  e
rigenerazione urbana») della suddetta legge regionale,  del  pari  di
notevole importanza al fine di  dirimere  la  presente  controversia,
dispone invece quanto segue: «1. In applicazione dei principi di  cui
alla presente legge e alla conclusione del  percorso  di  adeguamento
dei piani di Governo del territorio di cui all'art.  5,  comma  3,  i
comuni definiscono: 
        a) superficie agricola: i terreni qualificati dagli strumenti
di Governo del territorio come agro-silvo-pastorali; 
        b)  superficie  urbanizzata  e   urbanizzabile:   i   terreni
urbanizzati o in via di urbanizzazione calcolati  sommando  le  parti
del territorio su cui e' gia' avvenuta  la  trasformazione  edilizia,
urbanistica  o  territoriale  per  funzioni  antropiche  e  le  parti
interessate da previsioni pubbliche o private della stessa natura non
ancora attuate; 
        c) consumo di suolo: la trasformazione, per la  prima  volta,
di una superficie agricola da parte di uno strumento di  Governo  del
territorio,  non  connessa  con  l'attivita'  agrosilvo-   pastorale,
esclusa la realizzazione di parchi urbani territoriali e  inclusa  la
realizzazione di infrastrutture sovra comunali; il consumo  di  suolo
e' calcolato come rapporto percentuale tra  le  superfici  dei  nuovi
ambiti di trasformazione che determinano  riduzione  delle  superfici
agricole  del  vigente  strumento   urbanistico   e   la   superficie
urbanizzata e urbanizzabile; 
        d)  bilancio  ecologico  del  suolo:  la  differenza  tra  la
superficie agricola che viene trasformata per la  prima  volta  dagli
strumenti di Governo del territorio e  la  superficie  urbanizzata  e
urbanizzabile che  viene  contestualmente  ridestinata  nel  medesimo
strumento urbanistico a superficie agricola. 
    Se il bilancio ecologico del suolo e' pari a zero, il consumo  di
suolo e' pari a zero; 
        e) rigenerazione urbana: l'insieme coordinato  di  interventi
urbanistico-edilizi e di  iniziative  sociali  che  includono,  anche
avvalendosi di  misure  di  ristrutturazione  urbanistica,  ai  sensi
dell'art. 11 della l.r. 12/2005,  la  riqualificazione  dell'ambiente
costruito, la  riorganizzazione  dell'assetto  urbano  attraverso  la
realizzazione  di  attrezzature  e  infrastrutture,  spazi  verdi   e
servizi, il recupero o  il  potenziamento  di  quelli  esistenti,  il
risanamento del costruito mediante la  previsione  di  infrastrutture
ecologiche    finalizzate    all'incremento    della    biodiversita'
nell'ambiente urbano. 
    2. Il Piano territoriale regionale (PTR) precisa le modalita'  di
determinazione e quantificazione degli indici che misurano il consumo
di suolo, validi  per  tutto  il  territorio  regionale,  disaggrega,
acquisito il parere delle province e della  citta'  metropolitana  da
rendersi entro trenta  giorni  dalla  richiesta,  i  territori  delle
stesse  in  ambiti  omogenei,  in  dipendenza   dell'intensita'   del
corrispondente  processo  urbanizzativo  ed  esprime  i   conseguenti
criteri, indirizzi e linee tecniche da applicarsi negli strumenti  di
Governo del territorio per contenere il consumo di suolo. 
    3. In applicazione dei criteri, indirizzi e linee tecniche di cui
al  comma  2,  gli  strumenti  comunali  di  Governo  del  territorio
prevedono  consumo  di  suolo  esclusivamente  nei  casi  in  cui  il
documento di piano abbia  dimostrato  l'insostenibilita'  tecnica  ed
economica  di  riqualificare  e  rigenerare  aree   gia'   edificate,
prioritariamente   mediante   l'utilizzo   di   edilizia    esistente
inutilizzata o il recupero di aree dismesse nell'ambito  del  tessuto
urbano consolidato o su  aree  libere  interstiziali.  Sono  comunque
garantite le misure compensative di riqualificazione urbana  previste
dal piano dei servizi.  In  ogni  caso,  gli  strumenti  comunali  di
Governo  del  territorio  non  possono  disporre   nuove   previsioni
comportanti ulteriore consumo del suolo sino a che  non  siano  state
del tutto  attuate  le  previsioni  di  espansione  e  trasformazione
vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge. 
    4. La Giunta regionale,  con  deliberazione  da  approvare  entro
dodici mesi dalla data di entrata in  vigore  della  presente  legge,
sentita la competente commissione consiliare, definisce i criteri  di
individuazione degli interventi pubblici e di  interesse  pubblico  o
generale  di  rilevanza  sovracomunale  per  i  quali   non   trovano
applicazione le soglie di riduzione del consumo di suolo di cui  alla
presente legge». 
    2.2.2. La  disposizione  della  legge  regionale  suindicata  che
risulta  di  maggiore  pregnanza  ai  fini  della  definizione  della
controversia e' pero' quella contenuta  all'art.  5  (recante  «norma
transitoria») che prevede quanto di seguito: «1. La  Regione  integra
il PTR con le previsioni di cui all'art. 19, comma 2, lettera b bis),
della l.r. 12/2005, come introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera p),
della presente legge, entro dodici mesi  dalla  data  di  entrata  in
vigore della presente legge. 
    2. Ciascuna provincia e la citta' metropolitana adeguano il  PTCP
e gli specifici strumenti di pianificazione territoriale alla  soglia
regionale di riduzione del consumo di suolo, ai criteri, indirizzi  e
linee tecniche di cui all'art. 2 della presente legge e ai  contenuti
dell'art. 19 della l.r. 12/2005, entro dodici  mesi  dall'adeguamento
del PTR di cui al comma 1. 
    3. Successivamente all'integrazione del PTR e all'adeguamento dei
PTCP e degli strumenti di pianificazione  territoriale  della  citta'
metropolitana, di cui ai commi 1 e 2, e in coerenza con  i  contenuti
dei medesimi, i comuni adeguano, in occasione  della  prima  scadenza
del documento di piano, i PGT alle disposizioni della presente legge. 
    4. Fino all'adeguamento di cui al comma 3 e, comunque, fino  alla
definizione nel PGT della soglia comunale del consumo  di  suolo,  di
cui all'art. 8, comma 2, lettera b ter),  della  l.r.  12/2005,  come
introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera h), della presente legge,  i
comuni  possono  approvare  unicamente  varianti  del  PGT  e   piani
attuativi in variante al PGT, che non  comportino  nuovo  consumo  di
suolo, diretti alla riorganizzazione  planivolumetrica,  morfologica,
tipologica o progettuale  delle  previsioni  di  trasformazione  gia'
vigenti, per la finalita' di incentivarne e accelerarne l'attuazione,
esclusi gli  ampliamenti  di  attivita'  economiche  gia'  esistenti,
nonche' quelle finalizzate all'attuazione degli accordi di  programma
a valenza regionale. Fino a detto adeguamento sono comunque mantenute
le previsioni e  i  programmi  edificatori  del  documento  di  piano
vigente. 
    5. I comuni approvano, secondo quanto previsto dalla l.r. 12/2005
vigente prima dell'entrata in vigore della presente legge, i PGT o le
varianti di PGT gia' adottati alla data di entrata  in  vigore  della
presente legge, rinviando l'adeguamento di cui al comma 3  alla  loro
successiva scadenza;  tale  procedura  si  applica  anche  ai  comuni
sottoposti alla procedura di commissariamento di cui all'art.  25-bis
della l.r. 12/2005. La validita' dei documenti comunali di piano,  la
cui scadenza intercorra prima dell'adeguamento  della  pianificazione
provinciale e metropolitana di cui al comma 2, e' prorogata di dodici
mesi successivi al citato adeguamento. 
    5-bis. Per i comuni di nuova istituzione il termine  biennale  di
cui all'art. 25-quater, comma  1,  della  l.r.  12/2005,  nonche'  le
discipline ad esso correlate di cui ai  commi  2  e  3  del  medesimo
articolo sono differite fino a dodici mesi successivi all'adeguamento
della pianificazione provinciale e metropolitana di cui al  comma  2.
Analogo differimento e' disposto per il Comune di Gravedona ed Uniti. 
    6. La presentazione dell'istanza di cui all'art.  14  della  l.r.
12/2005 dei piani attuativi conformi  o  in  variante  connessi  alle
previsioni di PGT vigenti  alla  data  di  entrata  in  vigore  della
presente legge deve intervenire entro  trenta  mesi  da  tale  ultima
data. 
    Per detti piani e per quelli la cui istanza di  approvazione  sia
gia' pendente alla data di entrata in vigore della presente legge,  i
comuni provvedono alla istruttoria tecnica, nonche' alla  adozione  e
approvazione  definitiva  in  conformita'  all'art.  14  della   l.r.
12/2005. La relativa  convenzione  di  cui  all'art.  46  della  l.r.
12/2005   e'   tassativamente    stipulata    entro    dodici    mesi
dall'intervenuta esecutivita' della delibera comunale di approvazione
definitiva. 
    7. In tutti i  casi  di  inerzia  o  di  ritardo  comunale  negli
adempimenti di cui  al  comma  6  l'interessato  puo'  chiedere  alla
Regione la nomina di un  commissario  ad  acta.  Il  dirigente  della
competente struttura regionale, ricevuta l'istanza, procede  ai  fini
dell'intimazione al Comune di adempiere entro  il  termine  di  sette
giorni  dal  ricevimento  dell'intimazione.  Nel  caso  di  ulteriore
inerzia del comune, comunque comprovata, la Giunta  regionale  nomina
un commissario ad acta nel termine dei sette giorni  successivi  alla
scadenza della  diffida.  Il  commissario  ad  acta  cosi'  designato
esaurisce tempestivamente gli  adempimenti  di  istruttoria  tecnica,
adozione, approvazione e convenzionamento secondo necessita'.  A  far
tempo dalla nomina del commissario ad acta, il comune non  puo'  piu'
provvedere sull'istanza. 
    8. Per i piani attuativi tempestivamente attivati  ai  sensi  del
comma 6, il comune puo' prevedere che la relativa convenzione di  cui
all'art. 46 della l.r. 12/2005 consenta  la  dilazione  di  pagamento
degli importi dovuti, ai sensi del comma 1, lettera a), del  predetto
articolo e a titolo di monetizzazione di cessioni di aree, fino ad un
massimo  di  sei  rate  semestrali,  ciascuna  di  pari  importo,  da
corrispondersi a far tempo  dal  diciottesimo  mese  successivo  alla
stipula della convenzione stessa. 
    9.  Con  riguardo  ai  piani  attuativi,  per  i  quali  non  sia
tempestivamente  presentata  l'istanza  di  cui  al  comma  6  o   il
proponente non abbia adempiuto alla  stipula  della  convenzione  nei
termini  ivi  previsti,  i  comuni,  con  motivata  deliberazione  di
consiglio comunale, sospendono la previsione di  PGT  sino  all'esito
del procedimento di  adeguamento  di  cui  al  comma  3  e,  entro  i
successivi  novanta  giorni,  verificano  la   compatibilita'   delle
previsioni sospese con le prescrizioni sul consumo di suolo  previste
dal PGT,  disponendone  l'abrogazione  in  caso  di  incompatibilita'
assoluta, ovvero impegnando il proponente alle necessarie modifiche e
integrazioni negli altri casi. 
    10. Fino all'adeguamento di cui al comma 3,  viene  prevista  una
maggiorazione  percentuale  del  contributo  relativo  al  costo   di
costruzione di cui all'art. 16, comma 3, del decreto  del  Presidente
della  Repubblica  6  giugno  2001,  n.  380   (Testo   unico   delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia  edilizia  (Testo
A)) cosi' determinata: 
        a) entro un minimo del venti ed un  massimo  del  trenta  per
cento, determinata dai comuni, per gli interventi che consumano suolo
agricolo nello stato di  fatto  non  ricompresi  nel  tessuto  urbano
consolidato; 
        b)  pari  alla  aliquota  del  cinque  per  cento,  per   gli
interventi  che  consumano  suolo  agricolo  nello  stato  di   fatto
all'interno del tessuto urbano consolidato; 
        c) gli importi di cui alle lettere a) e b) sono da  destinare
obbligatoriamente  alla  realizzazione  di  misure  compensative   di
riqualificazione urbana e compensazione ambientale;  tali  interventi
possono essere realizzati anche dall'operatore,  in  accordo  con  il
comune.». 
    2.2.3. Ad avviso del Comune di Brescia  appellante  il  Tribunale
amministrativo regionale avrebbe frainteso il combinato-disposto  dei
commi 3 e 4 della norma immediatamente prima citata, in quanto non si
sarebbe avveduto che la variante approvata dal  comune  ed  avversata
dagli  originarii   ricorrenti   andava   proprio   nella   direzione
(rientrante pacificamente, come  chiarito,  tra  le  finalita'  della
legge regionale suddetta) di ridurre il consumo di suolo. 
    2.2.4. Il Collegio  non  concorda  con  la  tesi  dell'appellante
amministrazione comunale per piu' considerazioni, sia  fondate  sulla
lettera della disposizione predetta, che di  natura  teleologica,  in
quanto: 
        a) si e' al cospetto di una disposizione transitoria, tesa  a
regolare le problematiche scaturenti dalla sopravvenuta  approvazione
della legge suddetta; 
        b)  in  questo  quadro,  e'  perfettamente  logico   che   il
Legislatore regionale si sia preoccupato di disciplinare la posizione
dei titolari delle aree che secondo il PGT vigente al  momento  della
entrata in vigore della legge regionale, erano  ricompresi  nei  c.d.
ambiti di trasformazione, nelle more dell'adeguamento  dei  Piani  di
Governo del territorio alle sopravvenute disposizioni di legge; 
        c) il  combinato-disposto  dei  commi  3  e  4  della  citata
disposizione regolamentano proprio il momento dell'adeguamento; 
        d) la parte finale del comma 4, in questo quadro di  insieme,
contiene una prescrizione perentoria, a tenore della  quale  «fino  a
detto adeguamento sono comunque mantenute le previsioni e i programmi
edificatori del documento di piano vigente»; 
        e) tenuto  conto  della  ratio  sottesa  alla  necessita'  di
dettare  una  disposizione  transitoria  (all'evidenza,   quella   di
tutelare  l'affidamento  dei  proprietari   delle   aree   circa   le
destinazioni «possibili» al momento della  entrata  in  vigore  della
legge regionale suddetta) e tenuto conto  della  perentorieta'  della
indicazione legislativa suindicata, non pare al Collegio che la  tesi
del   Tribunale   amministrativo   regionale   presenti   ragionevoli
alternative: la stessa, infatti, si fonda sul  dato  letterale  della
norma suddetta di cui all'art. 5 della legge  regionale  lombarda  n.
31/14 (neppure l'appellante amministrazione  comunale  contesta  tale
dato) e ne  coglie  la  ratio,  tenuto  conto  che  trattasi  di  una
disposizione di natura transitoria, volta a  regolare  le  situazioni
pregresse  alla  entrata  in  vigore  della  legge  medesima,  e  con
quest'ultima in potenza configgenti; 
        f) parimenti, l'art. 2, comma 1, lettera  c)  della  suddetta
legge, detta una nozione di consumo del suolo «statica» («consumo  di
suolo: la trasformazione, per  la  prima  volta,  di  una  superficie
agricola da parte di uno strumento di  Governo  del  territorio,  non
connessa   con   l'attivita'    agrosilvo-pastorale,    esclusa    la
realizzazione  di   parchi   urbani   territoriali   e   inclusa   la
realizzazione di infrastrutture sovra comunali; il consumo  di  suolo
e' calcolato come rapporto percentuale tra  le  superfici  dei  nuovi
ambiti di trasformazione che determinano  riduzione  delle  superfici
agricole  del  vigente  strumento   urbanistico   e   la   superficie
urbanizzata  e   urbanizzabile»)   ed   ancorata   rigidamente   alla
zonizzazione  impressa  alle   aree:   anche   sotto   tale   profilo
(rafforzativo del decisum del t.a.r.)  non  sembra  al  Collegio  che
siano praticabili differenti opzioni ermeneutiche. 
    2.2.5. Nell'ottica del doveroso preliminare  esame  di  rilevanza
della prospettata questione di legittimita' costituzionale, sembra al
Collegio,quindi,   che   l'approdo   interpretativo   del   Tribunale
amministrativo   regionale   non   sia   scalfito   dalle    critiche
dell'appellante. 
    3. Come rilevato nella parte in fatto della  presente  decisione,
l'appellante  amministrazione  comunale   ha   prospettato   in   via
subordinata la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  5
della legge regionale della Lombardia 28 novembre  2014,  n.  31  con
riferimento ai parametri di cui agli articoli 5, 114, 118, 117  comma
2 lettera p) e 117 comma 3  della  Costituzione.  La  tesi  di  fondo
sottesa alla questione prospettata si incentra  su  due  profili,  in
quanto: 
        a) per un verso si sottolinea che la disposizione  in  parola
(ove interpretata nel senso affermato  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  e,  come   prima   chiarito,   condiviso   dal   Collegio)
conculcherebbe i principi in tema di sussidiarieta'  e  di  esercizio
delle funzioni amministrative affidate al comune; 
        b) per altro verso, si sostiene che la norma medesima collida
con i principi generali dettati dalla legge regionale urbanistica  n.
12/2005. 
    3.1. Lo scrutinio della complessa questione  prospettata  postula
un breve approfondimento in tema di  rilevanza  della  questione  nel
presente giudizio; detto approfondimento dovra' altresi' farsi carico
di verificare la  persistenza  della  eventuale  accertata  rilevanza
della questione, tenuto conto della circostanza  che  il  legislatore
regionale lombardo e' di recente intervenuto con la  legge  regionale
26 maggio 2017, n.  16  apportando  numerose  modifiche  all'impianto
originario della predetta legge regionale della Lombardia 28 novembre
2014, n. 31. 
    3.1.1. Cercando di non ripetere considerazioni  gia'  rassegnate,
si osserva innanzitutto - fermandosi al testo originario della  legge
in ultimo citata- che: 
        a) e' gia' stato chiarito che  il  Collegio  condivide  e  fa
proprio il principio giurisprudenziale  (tra  le  tante  Corte  Conti
reg., -Sicilia- sez. giurisd., 4  luglio  2005,  n.  149,  Cassazione
civile, sez. I, 28 novembre 2003, n. 18200, Consiglio di Stato,  sez.
V, 30 ottobre 1997, n. 1207), reso sulla falsariga  dei  fondamentali
insegnamenti  della  Corte  costituzionale,  secondo  cui  fra   piu'
interpretazioni   possibili   delle   norme   giuridiche    positive,
l'interprete  deve  privilegiare  solo  quella  piu'  conforme   alla
Costituzione; 
        b) a completamento di quanto evidenziato nel precedente  capo
del presente provvedimento, preme porre in luce che anche  lo  sforzo
interpretativo in  tal  senso  del  Collegio  non  ha  consentito  di
individuare una interpretazione della disposizione di cui all'art.  5
della legge regionale della Lombardia 28 novembre  2014,  n.  31  che
consenta di disinnescare i dubbi prospettati dall'appellante comune; 
        c)   invero,   la   «lettura»   prospettata   dall'appellante
amministrazione comunale, pretenderebbe che  la  citata  disposizione
venga interpretata nel senso che: 
          I) essa (in armonia con la finalita' perseguita dalla legge
regionale) conformi la potesta' pianificatoria del comune in un unico
senso: quello di vietare - quanto  meno  in  attesa  dell'adeguamento
contemplato dalla legge regionale -  la  creazione  di  nuovi  Ambiti
suscettibili di consumare suolo agricolo; 
          II) di converso, la  disposizione  medesima,  non  potrebbe
essere intesa nel senso che sarebbe interdetta al comune la  potesta'
di pianificare il proprio territorio (se  non  appunto,  al  limitato
fine di impedire un ulteriore consumo del suolo  agricolo);  da  cio'
discenderebbe (armonicamente con la  previsione  di  cui  all'art.  2
comma 3 della legge regionale lombarda  n.  31/14  medesima)  che  ai
comuni  sarebbe  (unicamente)  inibito  prevedere  nuove   espansioni
edificatorie  (fatte  salve  le  specifiche   eccezioni   contemplate
dall'art. 5, comma 4 della  legge)  ma  non  sarebbe  invece  vietato
limitare le previsioni edificatorie  contenute  nel  PGT  vigente  e,
pertanto, gli  atti  impugnati  non  potrebbero  essere  tacciati  di
illegittimita'; 
          III) osserva pero' in contrario senso il Collegio,  che  e'
proprio l'ultima parte dell'art. 5, comma 4,  della  legge  («Fino  a
detto adeguamento sono comunque mantenute le previsioni e i programmi
edificatori  del  documento  di   piano   vigente»)   che   si   lega
indissolubilmente al PGT, non a caso espressamente  menzionato  nella
prima parte del predetto comma 4; ed osserva altresi' che -  anche  a
volere obliare il dato letterale, e quello sistematico (trattasi,  si
ripete di una norma transitoria) - la interpretazione alternativa del
comune priverebbe il predetto comma 4  dell'art.  5  di  alcun  senso
compiuto: infatti, laddove si consideri che il divieto  dell'adozione
di atti  amministrativi  comportanti  incremento  di  suolo  e'  gia'
espressamente contenuto nell'art. 2, comma 3,  della  legge,  non  si
comprende a quale fattispecie dovrebbe applicarsi l'ultima parte  del
comma 4 dell'art. 5 suddetto; 
          IV) tanto e'  sufficiente,  ad  avviso  del  Collegio,  per
ribadire che l'approdo interpretativo  del  Tribunale  amministrativo
regionale  appare  ad  un  esame  preliminare  condivisibile,   fermo
restando che in questa fase il thema decidendum e' delibato  ai  soli
fini del giudizio di non manifesta infondatezza  della  questione  di
legittimita'  costituzionale,  con   riserva   di   ogni   definitiva
valutazione all'esito dell'incidente di costituzionalita'. 
    3.1.2. Sotto il profilo della originaria rilevanza  nel  presente
giudizio della questione di legittimita' costituzionale  prospettata,
invece, pare al Collegio non sia necessario  diffondersi  oltremisura
per chiarire il rilievo della questione prospettata. 
    3.1.3. La parte originaria ricorrente, infatti, aspira ad attuare
un progetto di piano attuativo riferito all'unita' di intervento  P2,
conservando i diritti edificatori; tale ambizione  sarebbe  frustrata
dalla variante  generale  al  PGT  (Seconda  variante)  che  ha,  tra
l'altro, eliminato dal documento di piano la  previsione  dell'ambito
di  trasformazione  P,  compresa  la  parte  relativa  all'unita'  di
intervento P2; la legittimita' di tale  variante  e'  stata  esclusa,
proprio in  quanto  contrastante  con  l'ultima  parte  del  comma  4
dell'art. 5 della citata legge regionale 28 novembre 2014, n. 31:  ma
laddove  la  predetta   prescrizione   venisse   vulnerata   da   una
dichiarazione di incostituzionalita', verrebbe meno  il  limite  alla
potesta'  pianificatoria  del  comune  ivi  contenuto;  tale   limite
resterebbe ristretto al divieto (del tutto compatibile con  lo  scopo
della  legge  regionale  suddetta)  di  prevedere  nuove  fattispecie
comportanti consumo di suolo; ed in definitiva la  variante  generale
raggiungerebbe lo scopo di interdire l'edificazione in  detto  ambito
di trasformazione P, e ne discenderebbe la reiezione del  ricorso  di
primo grado. 
    3.1.4. Per completezza di esposizione, si rappresenta infine  che
non  vi  sono  profili   alternativi   (preesistenti   ovvero   anche
sopravvenuti) da esplorare - nell'ambito del presente giudizio -  che
possano condurre ad un giudizio di superfluita' e non rilevanza della
questione esaminata, non  emergendo  dagli  atti  di  causa  elementi
ulteriori  dimostrativi  della  impossibilita'  in  capo  alla  parte
originaria ricorrente di realizzare l'intervento in parola. 
    Si evidenzia infatti che l'unico profilo dedotto in  primo  grado
di illegittimita' della variante generale  al  PGT  adottata  con  la
deliberazione consiliare n. 128 del 28 luglio 2015  ed  approvata  in
via definitiva con la deliberazione consiliare n. 17 del  9  febbraio
2016, riposava nel  contrasto  della  medesima  con  la  prescrizione
secondo  cui  fino  all'adeguamento  del  PGT,  possibile  solo  dopo
l'integrazione  del  PTR  e  l'adeguamento  del  PTCP,  la  normativa
regionale manteneva  provvisoriamente  efficaci  le  previsioni  e  i
programmi edificatori del PGT in vigore (art. 5, comma 4, della legge
suddetta); che le obiezione  delle  parti  originarii  ricorrenti  ed
appellanti  incidentali  attengono  a  profili  di  fondatezza  della
dedotta questione (che saranno meglio approfonditi di seguito) ma non
scalfiscono il giudizio sulla rilevanza della problematica dedotta. 
    3.2. Accertato - nei termini sinora esposti- il  rilievo  che  la
dedotta questione assumeva nell'ambito della presente controversia al
momento della proposizione del ricorso di primo grado (e dell'appello
principale),  occorre  adesso  verificare  se  la   rilevanza   della
questione persista, alla luce della sopravvenuta legge  regionale  26
maggio 2017, n. 16 che  ha  apportato  numerose  modifiche  al  testo
originario della legge regionale n. 31 del 2014. 
    3.2.1. Osserva sul punto il Collegio, che: 
        a)  sia  il  Comune  di  Brescia  che  la  parte   originaria
ricorrente ed appellante incidentale concordano sulla circostanza che
la  sopravvenuta  modifica  legislativa  non  spieghi  effetti  sulla
controversia; 
        b)  il  Collegio  ritiene   che   tale   prospettazione   sia
condivisibile, in quanto: 
          I) per condivisa giurisprudenza (si veda ancora di  recente
Consiglio di Stato, sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2892) dalla quale non
ravvisano  ragioni  per  discostarsi  «la  legittimita'  di  un  atto
amministrativo va accertata con riguardo allo stato  di  fatto  e  di
diritto  esistente  al  momento  della  sua  emanazione,  secondo  il
principio del tempus regit actum. Sicche' non  si  puo'  validare  ex
post un'azione amministrativa che al momento in cui  fu  adottata  si
appalesava illegittima, se non e solo con  le  regole  e  nei  limiti
della autotutela»; 
          II) la legittimita' della variante va quindi vagliata  alla
stregua del testo di legge vigente al momento in cui la stessa  venne
emanata; 
          III)  soltanto  laddove  la  eventuale  legge  sopravvenuta
avesse portata retroattiva, la applicabilita' del superiore principio
potrebbe subire deroghe (e cio', nei limiti in cui e'  consentito  al
legislatore di  intervenire  sulle  controversie  in  corso,  secondo
l'avveduta costante interpretazione che la  Corte  costituzionale  ha
fornito in punto di ammissibilita' delle c.d. leggi-provvedimento). 
    3.2.2. Nel caso di specie, si  osserva  che  la  sopravvenuta  la
legge regionale della Lombardia 26 maggio 2017, n. 16: 
        a)  non  contiene  alcuna  prescrizione   che   ne   sancisca
espressamente la retroattivita', ne' alcuna clausola che la definisca
qual legge di natura «interpretativa»; 
        b) contiene prescrizioni di natura innovativa e,  quindi,  se
anche (pur in carenza di espressa indicazione in  tal  senso)  se  ne
volesse ipotizzare la natura interpretativa, tale sforzo  ermeneutico
non potrebbe essere coronato da successo; 
        c) la legge suddetta ha infatti  modificato  l'art.  5  della
legge regionale n. 31 del 2014 interpolando (per quel che  in  questa
sede piu' immediatamente rileva) i commi 4 e 9, nei seguenti termini: 
          I) (comma 4) «Fino all'adeguamento di cui  al  comma  3  e,
comunque, fino alla definizione nel PGT  della  soglia  comunale  del
consumo di suolo, di cui all'art. 8, comma 2, lettera b  ter),  della
l.r. 12/2005, come introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera h), della
presente legge,  i  comuni  possono  approvare  varianti  generali  o
parziali del documento di piano e  piani  attuativi  in  variante  al
documento di piano, assicurando un bilancio ecologico del  suolo  non
superiore a zero, computato ai sensi dell'art. 2, comma 1, e riferito
alle previsioni del PGT vigente alla data di entrata in vigore  della
presente legge. La relazione del documento di piano, di cui  all'art.
8, comma 2, lettera b  ter),  della  l.r.  12/2005,  come  introdotto
dall'art. 3, comma 1, lettera h), della presente legge,  illustra  le
soluzioni prospettate, nonche' la  loro  idoneita'  a  conseguire  la
massima compatibilita' tra i processi di  urbanizzazione  in  atto  e
l'esigenza di ridurre il consumo di suolo e salvaguardare lo sviluppo
delle attivita'  agricole,  anche  attraverso  puntuali  comparazioni
circa la qualita' ambientale,  paesaggistica  e  agricola  dei  suoli
interessati.  I  comuni  possono  approvare,  altresi',  le  varianti
finalizzate all'attuazione  degli  accordi  di  programma  a  valenza
regionale, all'ampliamento di  attivita'  economiche  gia'  esistenti
nonche' le varianti di cui all'art. 97 della l.r. 12/2005. Il consumo
di suolo  generato  dalle  varianti  di  cui  al  precedente  periodo
concorre  al  rispetto  della  soglia  regionale  e  provinciale   di
riduzione del consumo di suolo. A seguito dell'integrazione  del  PTR
di cui al comma 1, le  varianti  di  cui  al  presente  comma  devono
risultare coerenti con i criteri e gli indirizzi individuati dal  PTR
per  contenere  il  consumo  di  suolo;  i  comuni  possono  altresi'
procedere  ad  adeguare  complessivamente   il   PGT   ai   contenuti
dell'integrazione del PTR, configurandosi come adeguamento di cui  al
comma 3. Le province e la Citta' metropolitana di Milano  verificano,
in sede di parere di compatibilita' di  cui  all'art.  13,  comma  5,
della l.r. 12/2005, anche il corretto recepimento dei criteri e degli
indirizzi del PTR. Entro un anno dall'integrazione del PTR di cui  al
comma 1, i comuni sono tenuti a trasmettere alla Regione informazioni
relative al consumo di suolo nei PGT, secondo contenuti  e  modalita'
indicati con deliberazione della Giunta regionale»; 
          II) (comma 9) » con riguardo ai  piani  attuativi  relativi
alle aree disciplinate dal documento di piano, per i  quali  non  sia
tempestivamente presentata l'istanza di cui  al  comma  6,  i  comuni
nell'ambito della loro potesta' pianificatoria possono  mantenere  la
possibilita'  di  attivazione  dei  piani  attuativi,  mantenendo  la
relativa previsione del  documento  di  piano  o,  nel  caso  in  cui
intendano promuovere varianti al  documento  di  piano,  disporne  le
opportune modifiche e integrazioni con la  variante  da  assumere  ai
sensi della l.r. 12/2005»; 
        d) ad avviso del Collegio, non e' neppure  utile,  in  questa
sede, controvertere sulla portata ed  il  significato  da  attribuire
alla novella di cui alla legge regionale della  Lombardia  26  maggio
2017, n. 16, in quanto: 
          I) se  anche  si  volesse  ritenere  che  la  stessa  abbia
ampliato le potesta' spettanti ai comuni (e' questa,  ad  avviso  del
Collegio, la portata effettuale della novella) l'appellante Comune di
Brescia non potrebbe giovarsene nella presente controversia; 
          II) cio' perche', laddove questo  Collegio  confermasse  la
statuizione demolitoria del Tribunale  amministrativo  regionale,  la
parte originaria ricorrente potrebbe agire  in  ottemperanza,  ed  il
comune  non  potrebbe  determinare  l'assetto  urbanistico  dell'area
giovandosi delle sopravvenute prescrizioni legislative (ammesso  pure
che  le  stesse  -  il  che  e'  fortemente  contestato  dalle  parti
appellanti incidentali, sulla scorta del novellato comma 9  dell'art.
5 della legge regionale n. 31 del 2014 -  consentano  di  intervenire
sui piani attuativi comportanti consumo di suolo); 
          III)  a  questo  punto,  la   eventuale   declaratoria   di
improcedibilita'  per  carenza  di  interesse  della   questione   di
legittimita' costituzionale prospettata con riferimento al primigenio
testo della legge regionale  n.  31  del  2014  si  risolverebbe  (in
riferimento alla presente controversia) in un diniego  di  giustizia,
in quanto l'appellante Comune di Brescia sarebbe  privato  dell'unica
possibilita' di ottenere un  giudizio  di  piena  legittimita'  della
variante adottata: appare evidente infatti che  soltanto  laddove  il
primigenio testo dell'art. 5 della legge regionale  n.  31  del  2014
venisse vulnerato da una declaratoria di incostituzionalita' verrebbe
meno  il  giudizio  di  illegittimita'   della   variante   adottata,
quantomeno  sulla  scorta  dei  parametri  di   censura   prospettati
nell'odierno giudizio; 
        e) il Collegio e' quindi  dell'avviso  che  la  questione  di
legittimita'    costituzionale    prospettata     con     riferimento
all'originario testo della legge regionale n. 31  del  2014  conservi
immutate attualita'  e  rilevanza  nel  presente  giudizio,  anche  a
seguito delle modifiche introdotte dal Legislatore regionale  con  la
legge regionale della Lombardia 26 maggio 2017, n. 16. 
    3.3. E proprio passando al merito della questione di legittimita'
costituzionale  prospettata,  anticipa   il   Collegio   il   proprio
convincimento secondo cui la dedotta questione, oltre che  rilevante,
appaia non manifestamente  infondata,  almeno  quanto  al  principale
versante critico prospettato. 
    3.4. Al fine di sgombrare il campo da argomenti inaccoglibili, si
osserva immediatamente che: 
        a) l'argomento critico fondato  sul  supposto  contrasto  del
comma 4 dell'art. 5 della citata legge regionale 28 novembre 2014, n.
31, con la legge generale urbanistica lombarda 11 marzo 2005, n.  12,
da un canto, non  potrebbe  giammai  condurre  alla  declaratoria  di
illegittimita' della norma in parola, e dall'altra, sotto il  profilo
logico, appare  meramente  rafforzativo  dell'argomento  (principale)
posto a sostegno del sospetto di incostituzionalita'; 
        b) cio' in quanto, per un verso la legge generale urbanistica
lombarda 11 marzo 2005, n. 12  non  integra  parametro  di  rilevanza
costituzionale, e per altro verso,  il  comma  4  dell'art.  5  della
citata legge regionale 28 novembre 2014, n. 31 non appare intersecare
la prescrizione di cui all'art. 13 della citata legge 11 marzo  2005,
n. 12 , nella parte in cui quest'ultima affida ai comuni  il  compito
di adottare ed approvare il PGT (all'evidenza, la disposizione di cui
all'art.  5  della  legge  regionale  n.  31  del  2014  non   immuta
l'autorita' competente ad approvare il  documento  di  pianificazione
urbanistica del territorio comunale); 
        c) inoltre, non e' neppure del tutto esatto sostenere che  il
procedimento di approvazione del PGT veda del tutto esclusa una forma
di compartecipazione regionale (si vedano i  commi  5-bis  ed  8  del
citato articolo); 
        d) semmai,  si  potrebbe  sostenere  che  la  suddetta  legge
regionale urbanistica lombarda 11 marzo  2005,  n.  12  valorizza  in
maniera penetrante il ruolo dei comuni:  ma  cio'  al  piu'  potrebbe
costituire argomento di supporto del sospetto di  incostituzionalita'
avanzato principaliter ma non anche autonomo profilo di contrasto; 
        e) del pari, non costituisce problematica rilevante, sotto il
profilo del dubbio di  legittimita'  costituzionale  prospettato,  il
denunciato «contrasto» dell'art. 5 della legge regionale suddetta con
gli articoli 1 e 2 della legge medesima, nella parte in cui  assumono
la riduzione del consumo del suolo quale obiettivo  principale  della
legge medesima, in quanto: 
          I) nuovamente, non puo' ritenersi che venga in rilievo  nel
caso di specie alcun parametro di rilevanza costituzionale; 
          II)  l'argomento  critico  mira  a  mettere  in  dubbio  la
complessiva ragionevolezza delle prescrizioni  legislative  regionali
suddette,  ove  «lette  congiuntamente»,   ed   in   ultima   analisi
costituisce un tentativo - svolto sul piano sistematico-  di  mettere
in dubbio la correttezza dell'approdo  interpretativo  del  Tribunale
amministrativo regionale; 
          III) in precedenza si sono gia' chiarite le ragioni di  non
persuasivita'  della  superiore  tesi:  nell'ottica  del  dubbio   di
legittimita' costituzionale prospettato,  puo'  soltanto  aggiungersi
che  se  anche  rispondesse  al  vero  che  la  lettera  della  norma
transitoria «depotenzi» l'obiettivo (riduzione di suolo) che la legge
regionale medesima si propone di perseguire, cio' non appare elemento
di  irragionevolezza   tale   da   fare   ipotizzare   la   possibile
incostituzionalita' dell'art. 5 della legge, cio'  tantopiu'  laddove
si  consideri  che  ivi  il  legislatore  regionale  ha  tentato   di
salvaguardare l'affidamento dei proprietari di aree incluse in ambiti
di trasformazione. 
    3.5. Quanto all'asserito contrasto del comma 4 dell'art. 5  della
citata legge regionale 28 novembre 2014, n. 31 con  il  principio  di
sussidiarieta' (articoli 5, 114  e  118  della  Costituzione)  e  con
quello di riserva alla legislazione esclusiva statuale delle funzioni
fondamentali del  comune  (art.  117,  comma  2,  lettera  p),  della
Costituzione)  -  tematiche,  queste,  che  ad  avviso  del  Collegio
costituiscono il nodo centrale della controversia - si osserva  sotto
un profilo piu' generale, che: 
        a)   secondo   consolidata   giurisprudenza   costituzionale,
l'urbanistica e l'edilizia  devono  essere  ricondotte  alla  materia
«governo del territorio», di cui all'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,
materia di legislazione concorrente in cui lo Stato ha il  potere  di
fissare i principi fondamentali, spettando alle regioni il potere  di
emanare la normativa di dettaglio (da  ultimo,  Corte  costituzionale
ordinanza n. 314 del 2012; sentenza  n.  309  del  2011,  vedi  anche
sentenze n. 362 e n. 303 del 2003). 
    Per altro verso, la Corte costituzionale  ha  chiarito  da  tempo
risalente che il rispetto delle autonomie comunali deve  armonizzarsi
con la verifica e la protezione di  concorrenti  interessi  generali,
collegati ad una valutazione piu' ampia delle  esigenze  diffuse  nel
territorio: cio' giustifica l'eventuale  emanazione  di  disposizioni
legislative (statali e regionali) che vengano ad incidere su funzioni
gia' assegnate agli enti locali (sent.  n.  286/97).  Dunque  non  e'
precluso alle leggi nazionali ovvero anche regionali di prevedere  la
limitazione  di  alcune  competenze  comunali  in  considerazione  di
«concorrenti interessi generali, collegati ad  una  valutazione  piu'
ampia delle esigenze diffuse nel territorio» (Corte costituzionale n.
378/00 cit.). Le leggi regionali sono tenute  cioe'  a  valutare  «la
maggiore efficienza della  gestione  a  livello  sovracomunale  degli
interessi coinvolti» (Corte costituzionale  n.  286/97).  E'  rimasto
inoltre  chiarito  (sent.  n.  478/02),  in   relazione   ai   poteri
urbanistici dei Comuni, come la legge  nazionale  e  regionale  possa
modificarne le caratteristiche o l'estensione, ovvero subordinarli  a
preminenti interessi pubblici, alla condizione di  non  annullarli  o
comprimerli radicalmente, garantendo adeguate forme di partecipazione
dei  comuni  interessati  ai   procedimenti   che   ne   condizionano
l'autonomia (fra le molte, v. le sentenze n. 378/00,  n.  357/98,  n.
286/97, n. 83/97 e n. 61/94).  Assai  rilevanti  in  proposito,  sono
certamente le pronunce in merito alle leggi regionali sul cd.  «piano
casa» (fra cui Corte costituzionale n. 46/2014, che giudica legittima
l'imposizione regionale di limitazioni alla potesta' ed all'autonomia
pianificatoria comunale, ove  collegate  a  specifici  presupposti  e
circoscritte entro confini ben determinati). La problematica, come e'
agevole riscontrare, ruota  intorno  ai  concetti  di  necessita'  ed
adeguatezza (si veda anche Corte costituzionale, 24 luglio  2015,  n.
189, laddove si evidenzia che «Invero, questa Corte  -  ex  plurimis,
sentenze n. 278 del 2010, n. 6 del 2004  e  n.  303  del  2003  -  ha
ritenuto - fin dalla citata sentenza n. 303 del 2003 - che, nell'art.
118, primo comma, Cost., vada  rinvenuto  un  peculiare  elemento  di
flessibilita',  il  quale   -   nel   prevedere   che   le   funzioni
amministrative, generalmente attribuite  ai  Comuni,  possano  essere
allocate ad un livello di Governo diverso per assicurarne l'esercizio
unitario, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione
ed adeguatezza - introduce un  meccanismo  dinamico  incidente  anche
sulla stessa distribuzione delle  competenze  legislative  -  diretto
appunto  a  superare  l'equazione  tra  titolarita'  delle   funzioni
legislative e titolarita' delle funzioni amministrative»); 
        b)  con  particolare  riferimento  alla  materia  urbanistica
(rientrante,   come   prima   sottolineato,   nella   materia   della
legislazione concorrente, ex art. 117, comma 3,  della  Costituzione)
l'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 6  giugno  2001,
n. 380 stabilisce, ai primi  quattro  commi,  quanto  segue:  «1.  Le
regioni esercitano la potesta'  legislativa  concorrente  in  materia
edilizia nel rispetto dei principi  fondamentali  della  legislazione
statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico. 
    Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento  e
di Bolzano esercitano la propria potesta' legislativa esclusiva,  nel
rispetto e nei limiti degli statuti di  autonomia  e  delle  relative
norme di attuazione. 
    Le disposizioni, anche di dettaglio, del  presente  testo  unico,
attuative  dei  principi  di  riordino  in  esso  contenuti,  operano
direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario,  fino  a
quando esse non si adeguano ai principi medesimi. 
    I  comuni,  nell'ambito  della  propria  autonomia  statutaria  e
normativa di cui all'art. 3 del decreto legislativo 18  agosto  2000,
n. 267, disciplinano l'attivita' edilizia.»; 
        c) in giurisprudenza non si ritiene dubitabile la  necessita'
di fare riferimento  ad  una  nozione  ampia  e  funzionalizzata  del
concetto di «governo del territorio»: questo e'  l'indirizzo  a  piu'
riprese affermato dalla Sezione, ancora assai di recente, e dal quale
il Collegio non rinviene  ragioni  per  discostarsi  (tra  le  tante:
Consiglio di Stato, sez. IV, 22 febbraio 2017,  n.  821,  laddove  di
precisa che «il potere di pianificazione urbanistica del territorio -
la cui attribuzione e conformazione normativa  e'  costituzionalmente
conferita  ex  art.  117  comma  3,  Cost.  allapotesta'  legislativa
concorrente dello Stato e  delle  Regioni  ed  il  cui  esercizio  e'
normalmente attribuito, pur nel  contesto  di  ulteriori  livelli  ed
ambiti  di  pianificazione,  al  Comune,   non   e'   limitato   alla
individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale,
ed in  particolare  alla  possibilita'  e  limiti  edificatori  delle
stesse; al contrario,  tale  potere  di  pianificazione  deve  essere
rettamente inteso in relazione ad  un  concetto  di  urbanistica  non
limitato alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli - e,
al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalita', in tal  modo
definiti -, ma che, per mezzo della  disciplina  dell'utilizzo  delle
aree, realizzi  anche  finalita'  economico-sociali  della  comunita'
locale (non in contrasto ma anzi in armonico  rapporto  con  analoghi
interessi di altre comunita' territoriali, regionali e dello  Stato),
nel  quadro  di  rispetto  e  di  positiva   attuazione   di   valori
costituzionalmente  tutelati;  tali   finalita',   piu'   complessive
dell'urbanistica, e degli strumenti  che  ne  comportano  attuazione,
sono peraltro desumibili fin dalla legge  17  agosto  1942  n.  1150,
laddove essa individua il contenuto della «disciplina  urbanistica  e
dei suoi scopi» - art. 1  -,  non  solo  nell'assetto  ed  incremento
edilizio dell'abitato, ma anche nello «sviluppo urbanistico in genere
nel territorio della Repubblica»); 
        d) in definitiva, l'urbanistica, ed il correlativo  esercizio
del potere di pianificazione, non possono essere  intesi,  sul  piano
giuridico,   solo   come   un   coordinamento   delle   potenzialita'
edificatorie connesse al diritto di proprieta', cosi' offrendone  una
visione  affatto  minimale,  ma  devono   essere   ricostruiti   come
intervento  degli  enti  esponenziali  sul  proprio  territorio,   in
funzione dello sviluppo complessivo  ed  armonico  del  medesimo:  la
nozione ampia di «governo del territorio»,  comportando  la  potesta'
legislativa concorrente delle  Regioni,  ridonda,  a  cascata,  sulla
potesta' amministrativa dei comuni in subiecta materia; 
        e) come e' noto,  nel  sistema  giuridico  italiano  all'Ente
comune  e'  tradizionalmente  affidata  la  funzione   amministrativa
urbanistica (pacificamente riconducibile alla  nozione  «governo  del
territorio» di cui all'art. 117, comma  3,  della  Costituzione)  che
esso esercita, di regola attraverso una duplice  direttrice  (tra  le
tante Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2011,  n.  3888:  «in  tema  di
disposizioni dirette  a  regolamentare  l'uso  del  territorio  negli
aspetti  urbanistici  ed  edilizi,  contenute  nel   relativo   piano
regolatore,  nei  piani  attuativi  o  in  altro  strumento  generale
individuato   dalla   normativa   statale   e   regionale,    occorre
differenziare tra le prescrizioni che in via  immediata  stabiliscono
le  potenzialita'   edificatorie   della   porzione   di   territorio
interessata, tra cui rientrano  le  norme  di  cd.  zonizzazione;  di
destinazione di  aree  a  soddisfare  gli  standard  urbanistici;  di
localizzazione di opere pubbliche o di  interesse  collettivo,  dalle
altre  regole  che  disciplinano  piu'   in   dettaglio   l'esercizio
dell'attivita' edificatoria, di solito contenute nelle norme tecniche
di attuazione del piano o nel regolamento edilizio e  che  concernono
il calcolo delle distanze  e  delle  altezze;  la  compatibilita'  di
impianti tecnologici o di determinati usi;  l'assolvimento  di  oneri
procedimentali e documentali ecc.»). 
    3.6. Cio' posto, ad avviso del Collegio,  non  e'  manifestamente
infondato il dubbio di costituzionalita' investente  la  disposizione
contenuta nell'art. 5, comma 4, della legge regionale della Lombardia
28 novembre 2014, n. 31 in relazione  all'evocato  parametro  di  cui
all'art. 117, comma 2, lettera p), della Costituzione in quanto: 
        a) la riserva  esclusiva  alla  legislazione  statuale  delle
«funzioni fondamentali di Comuni, Province  e  Citta'  metropolitane»
implica una conseguenza:  quella  che  debba  essere  lo  Stato  -  e
soltanto quest'ultimo - a stabilire con propri atti normativi primari
quali siano le funzioni affidate agli enti locali; 
        b) la prescrizione  normativa  regionale  avversata  potrebbe
ritenersi collidente con  tale  disposizione  della  Costituzione  in
quanto, pur essendo la funzione amministrativa in materia urbanistica
affidata in termini generali  ai  comuni  della  Lombardia,  tuttavia
viene direttamente compiuta dal legislatore regionale anziche'  dalle
amministrazioni comunali una scelta di particolare rilievo,  relativa
alla salvaguardia (anche se per un  periodo  temporale  limitato)  di
prescrizioni contenute in atti amministrativi di natura  urbanistica,
emanati in precedenza dai comuni medesimi (tra cui quello di Brescia,
originario ricorrente); 
        c) in tal modo si e' voluto escludere che il comune  eserciti
per questo profilo la funzione  amministrativa  urbanistica  ad  esso
spettante, della quale si e' conformato (in negativo, come meglio  si
vedra' di seguito) il quomodo di esercizio. 
    3.7.  Ad  analoghe  conclusioni,  perviene   il   Collegio,   con
riferimento all'evocato parametro della violazione del  principio  di
sussidiarieta'. 
    3.7.1. Il blocco temporale alle iniziative  pianificatorie  delle
amministrazioni comunali, implica che -  seppur  per  un  periodo  di
tempo contenuto, ma variabile in quanto incerto nella sua ampiezza  -
siano immodificabili «le previsioni e  i  programmi  edificatori  del
documento di piano vigente». 
    3.7.2. Con tale generale previsione, a contrario, si inibisce del
tutto all'ente locale di esercitare la potesta' di adottare modifiche
al proprio Documento di Piano vigente  (quest'ultimo  costituente  la
parte piu' rilevante e qualificante del PGT,  come  e'  noto)  ed  in
concreto se ne determina il contenuto, «congelandolo»  alla  data  di
emanazione della legge regionale suddetta. 
    3.7.3. Ora, e'  ben  noto  che,  la  scelta  del  Legislatore  di
attribuire  talune  competenze  al  comune   risponde,   di   regola,
all'esigenza  di  assicurare  un  ordinato  assetto  del  territorio,
corrispondente agli effettivi  bisogni  della  collettivita'  locale,
essendo il comune l'ente appartenente ad un livello di  Governo  piu'
prossimo  ai  cittadini,  in  piena   coerenza   con   il   principio
costituzionale della sussidiarieta' verticale (si veda, tra le  tante
Consiglio di Stato, sez. III, 2 maggio 2016, n. 1658  in  materia  di
localizzazione delle sedi farmaceutiche): e si ritiene di avere prima
dimostrato che per tradizione  al  comune  sono  stati  attribuiti  i
compiti di pianificazione urbanistica, 
    In  un  contesto   ordinamentale   in   cui   il   principio   di
sussidiarieta', da un lato, e la spettanza  al  Comune  di  tutte  le
funzioni  amministrative  che  riguardano  il  territorio   comunale,
dall'altro, orientano i vari livelli  di  pianificazione  urbanistica
secondo il criterio della competenza, il ruolo del  comune  non  puo'
infatti essere confinato nell'ambito della mera attuazione di  scelte
precostituite in sede sovraordinata; il Comune, di regola,  non  puo'
disattendere le prescrizioni  di  coordinamento  dettate  dagli  enti
(Regione  o  Provincia)  titolari  del  relativo  potere,  ma   puo',
tuttavia, discrezionalmente concretizzarne i contenuti. 
    Gia' in tempo  risalente,  la  giurisprudenza  amministrativa  ha
cercato di trovare un punto di equilibrio che  garantisse  l'ordinato
dispiegarsi delle competenze comunali al contempo garantendo che  gli
enti sovraordinati  esercitassero  le  funzioni  di  coordinamento  a
queste rimesse: e' stato pertanto affermato che (si veda Consiglio di
Stato, sez. II, 5  febbraio  2003,  n.  2691)  «  non  e'  consentito
all'ente titolare del potere di approvazione del piano regolatore, al
di fuori delle  ipotesi  connotate  dalla  prevalenza  di  tutela  di
interessi superiori, modificare in modo sostanziale i contenuti della
disciplina  urbanistica,  frutto  della  scelta  della  comunita'  di
riferimento e, per questo, espressione della riserva di  attribuzione
democratica assistita dal principio di sussidiarieta'.» 
    3.7.4. Discendono da quanto si e' prima  esposto,  una  serie  di
principi   -    costantemente    predicati    dalla    giurisprudenza
amministrativa -  merce'  i  quali  (sia  pure  tenendo  conto  delle
differenti  specificita'  delle  legislazioni   regionali),   si   e'
salvaguardato il tendenziale  principio  della  spettanza  ai  comuni
della funzione di pianificazione urbanistica, essendosi rilevato che: 
          I) se la Regione, in sede di  approvazione  della  delibera
comunale di adozione del  piano  vi  apporti  delle  modifiche,  v'e'
l'obbligo di procedere ad una nuova pubblicazione per  consentire  ai
privati di proporre le  osservazioni  nel  caso  di  variazioni  c.d.
facoltative  e  innovative,  ovvero  che  mutino  le  caratteristiche
essenziali ed i criteri di impostazione del  piano»  (tra  le  tante,
T.A.R. Lecce, - Puglia -, sez. I, 12 ottobre 2005, n. 4490); 
          II) l'autorita'  comunale,  in  luogo  di  rispondere  alle
considerazioni tecniche  ed  ai  chiarimenti  richiesti  in  sede  di
approvazione dalla regione, ha  facolta'  di  ripropone  allo  stesso
organo un piano regolatore nuovo, purche'  rispetti  gli  adempimenti
formali richiesti per l'adozione di un  nuovo  strumento  urbanistico
(Consiglio di Stato, sez. IV, 22 maggio 1989, n. 347); 
          III)  i  limiti  del  potere  regionale   di   approvazione
risiedono nella evidenza per cui  una  scelta  di  pianificazione  di
segno diametralmente opposto a quella voluta dal comune  in  sede  di
variazione  dello  strumento  urbanistico  generale  non   puo'   che
competere all'Ente locale, prevedendo la legge invece, in  capo  alla
Regione, potesta' piu' ridotte, mera espressione del potere regionale
di partecipazione alla formazione dell'atto a complessita'  diseguale
di pianificazione generale» (Consiglio di Stato, sez. IV,  20  maggio
2014, n. 2563); 
          IV) non e'  consentito  all'ente  titolare  del  potere  di
approvazione  del  piano  regolatore,  al  di  fuori  delle   ipotesi
connotate  dalla  prevalenza  di  tutela  di   interessi   superiori,
modificare  in  modo  sostanziale  i   contenuti   della   disciplina
urbanistica, frutto della scelta della comunita'  di  riferimento  e,
per questo, espressione della  riserva  di  attribuzione  democratica
assistita dal principio di sussidiarieta'. (Consiglio di Stato,  sez.
II, 5 febbraio 2003, n. 2691); 
          V)  la  risalente  nozione   del   sistema   pianificatorio
urbanistico  come   ordinato   «a   cascata»   e   cioe'   in   forma
sostanzialmente gerarchica si pone  in  contrasto  con  il  principio
costituzionale  dell'autonomia  degli  enti  territoriali  (art.  118
cost.) nonche' con il criterio generale di riparto  delle  competenze
in materia urbanistica  delineato  dalla  normativa  statale.  In  un
contesto ordinamentale in cui il principio di  sussidiarieta'  da  un
lato e la spettanza al Comune di tutte le funzioni amministrative che
riguardano il territorio comunale dall'altro orientano i vari livelli
di pianificazione urbanistica secondo il criterio  della  competenza,
il ruolo del comune non puo'  infatti  essere  confinato  nell'ambito
della mera attuazione di scelte precostituite in sede  sovraordinata.
Cio' comporta che il comune, se non puo' disattendere le prescrizioni
di coordinamento dettate dagli enti (regione  o  provincia)  titolari
del relativo potere, puo' pero'  discrezionalmente  concretizzarne  i
contenuti (Consiglio di Stato, sez. IV, 1 ottobre 2007, n. 5058). 
    3.8.  Si  sono  voluti  enucleare  -  senza  alcuna  pretesa   di
completezza od esaustivita'  -  i  principi  sinora  predicati  dalla
giurisprudenza, per chiarire  che  la  filosofia  di  fondo  di  tale
consolidato filone interpretativo e' quella di  garantire  il  potere
regionale di partecipazione alla formazione dell'atto a  complessita'
diseguale di pianificazione generale, pur  nella  riaffermazione  del
principio per cui la funzione  di  pianificazione  urbanistica  resta
saldamente   rimessa   alla   responsabilita'    dell'amministrazione
comunale. 
    3.8.1. Sarebbe  quindi  illegittimo  un  atto  amministrativo  di
matrice regionale che si sostituisse alle determinazioni comunali con
riferimento a scelte discrezionali 
    3.8.2. E laddove, per avventura, cio' avvenisse con  un  atto  di
matrice legislativa, la  competenza  del  comune  -  discendente  dal
principio  di  sussidiarieta'   verticale   contenuto   nella   Carta
fondamentale  -  potrebbe  essere  «difesa»  rimettendo  alla   Corte
costituzionale il giudizio di legittimita' sulla  legge  medesima  in
relazione  al  parametro  che  prevede  ed  eleva  il  principio   di
sussidiarieta', rappresentato dal combinato-disposto degli articoli 5
e 118 della Carta Fondamentale. 
    3.8.3. Si osserva  poi  che,  se  tali  principi  devono  trovare
attuazione   con   riferimento   ad   atti   amministrativi   (ovvero
legislativi) a  contenuto  positivo,  analoga  risposta  deve  essere
fornita, laddove l'atto di matrice regionale incidente sulla potesta'
di pianificazione urbanistica rimessa al comune si  strutturi  in  un
atto di natura legislativa  contenente  una  prescrizione  «negativa»
che, in  tesi,  impedisca  al  comune  medesimo  di  esercitare  tali
prerogative. 
    3.8.4. Nel caso specie, pare al  Collegio  che  ci  si  trovi  in
presenza proprio di tale evenienza, e sotto due connessi e  speculari
profili, in quanto: 
        I) il comma 1 dell'art. 5 della  citata  legge  regionale  28
novembre 2014, n. 31 impone alla regione di integrare «il PTR con  le
previsioni di cui all'art. 19, comma 2, lettera b-bis), della l.r. n.
12/2005, come introdotto dall'art. 3,  comma  1,  lettera  p),  della
presente legge, entro dodici mesi dalla data  di  entrata  in  vigore
della presente legge»; 
        II) la disposizione medesima nulla prevede nella  ipotesi  in
cui detto termine non sia rispettato; 
        IV) nelle more di tale integrazione il comma 4  del  predetto
art. 5 (nel testo  primigenio)  non  soltanto  conforma  la  potesta'
urbanistica comunale («i comuni possono approvare unicamente varianti
del PGT e piani attuativi in variante  al  PGT,  che  non  comportino
nuovo   consumo   di    suolo,    diretti    alla    riorganizzazione
planivolumetrica,  morfologica,  tipologica   o   progettuale   delle
previsioni di  trasformazione  gia'  vigenti,  per  la  finalita'  di
incentivarne e accelerarne l'attuazione, esclusi gli  ampliamenti  di
attivita'  economiche  gia'  esistenti,  nonche'  quelle  finalizzate
all'attuazione degli accordi di programma a  valenza  regionale»)  in
un'unica direzione (il che pero' non costituisce  prescrizione  della
quale il Comune di Brescia appellante principale si duole) ma  anche,
inibisce  al  comune  qualunque  forma  di  pianificazione  «diversa»
stabilendo  che  fino  all'adeguamento  di  cui  al  comma  3   della
disposizione predetta (comunque successivo alla integrazione del  PTR
da parte della Regione) «sono comunque mantenute le  previsioni  e  i
programmi edificatori del documento di piano vigente»; 
        V) e' ben vero che (come acutamente sottolineato dalle  parti
originarie ricorrenti alla pag. 4  della  memoria  depositata  il  13
settembre 2017) la legge regionale non interdice la  possibilita'  di
approvare varianti al Piano delle Regole ed al Piano dei Servizi  del
PGT, ma e' vero altresi' che la prescrizione  interdittiva  contenuta
nella legge riguarda l'atto  maggiormente  rilevante  e  qualificante
della  programmazione   urbanistica   comunale,   rappresentato   dal
documento di Piano. 
    3.8.5. Il Collegio ritiene quindi che  non  siano  manifestamente
infondati i dubbi di legittimita' costituzionale  della  disposizione
suddetta prospettati dall'appellante comune, anche con riferimento al
parametro della sussidiarieta' verticale di cui agli  articoli  5,  e
118 della Costituzione, sia nella parte in cui  il  comune  si  duole
della indeterminatezza temporale della previsione (nel senso che  non
e' prevista alcuna decadenza del  barrage  interdittivo,  laddove  la
regione non rispetti il termine temporale contenuto nella legge)  sia
laddove  si  sottolinea  la  portata  «espropriativa»  di  competenze
proprie (consistenti nella potesta' di  modificare  il  documento  di
Piano del PGT) rappresentata dalla prescrizione interdittiva  di  cui
al comma 4 dell'art. 5 della legge. 
    3.8.6. Un'ultima  annotazione  e'  necessaria,  Quanto  al  primo
profilo: il comma 1 della legge, in verita', prevede un  termine  (di
dodici mesi dall'entrata in vigore della legge)  entro  il  quale  la
regione debba «integrare il PTR con le previsioni di cui all'art. 19,
comma  2,  lettera  b-bis),  della  l.r.  12/2005,  come   introdotto
dall'art. 3, comma 1, lettera p), della legge regionale  28  novembre
2014, n. 31 medesima». 
    E' evidente che trattasi di un atto il cui contenuto  e'  rimesso
alla  latissima  discrezionalita'  dell'Ente  regionale,  e  la   cui
adozione -a cascata -  condiziona  il  successivo  adeguamento  degli
strumenti urbanistici rimesso ai comuni  lombardi  dal  comma  3  del
citato art.  5;  ed  e'  altrettanto  evidente  che  di  fatto,  fino
all'adozione di tali atti, la  potesta'  urbanistica  comunale  resta
condizionata negativamente dalla prescrizione di cui all'ultima parte
del comma 4 del citato articolo. 
    Secondariamente, va ribadito che l'avviso del Collegio e'  quello
per cui il comma 4 dell'art. 5 della legge regionale abbia introdotto
un divieto al potere comunale di modifica del Documento di  Piano  in
senso  riduttivo  del  consumo  di  suolo  quanto  agli   ambiti   di
trasformazione, e che  tale  prescrizione  renda  non  manifestamente
infondato il dubbio di legittimita'  costituzionale  prospettato  dal
comune, in quanto la funzione di pianificazione, ex  art.  118  della
Costituzione, integra funzione amministrativa  attribuita  al  comune
medesimo. 
    3.9. In ultimo, rileva il Collegio che il T.a.r, al capo 20 della
sentenza impugnata, pur senza farsi carico di scrutinare la questione
di  legittimita'  costituzionale   prospettata,   ha   implicitamente
identificato  il  possibile  fondamento  logico  della   prescrizione
interdittiva   suddetta,   individuandolo   nella   «necessita'    di
salvaguardare il potere della Regione di uniformare la disciplina del
consumo di suolo sull'intero territorio  regionale,  evitando  che  i
proprietari siano esposti, lungo le  linee  di  confine  comunali,  a
vincoli eccessivamente differenziati». 
    3.9.1.  Evidenzia  il  Collegio  che,  da  un  canto,  in  nessun
passaggio  della  legge  regionale  e'  dato   intuire   che   simile
preoccupazione  sia  stata  alla  base  della   citata   prescrizione
interdittiva, e per altro verso,  appare  altresi'  dubbio  che  essa
possa integrare quella ragione giustificativa della necessita' di  un
«esercizio unitario» della funzione amministrativa pianificatoria che
giustifichi la sottrazione  per  un  tempo  non  contenuto  di  detta
funzione all'ente comunale che la  detiene  in  forza  di  risalente,
tradizionale, impostazione legislativa  a  piu'  riprese  ribadita  e
confermata. 
    10.  Alla  luce  della  superiore  esposizione,  infine,   appare
doveroso chiarire brevemente cio' che si era soltanto  enunciato  nel
primo  considerando  della  presente  decisione:  la   questione   di
legittimita' costituzionale che ci si accinge a sollevare si  pone  a
monte delle ulteriori contrapposte censure con le quali  entrambe  le
parti hanno criticati i successivi capi della sentenza  che  si  sono
fatti carico di definire la  latitudine  della  successiva  attivita'
pianificatoria  rimessa  al  comune  conseguente   alla   statuizione
annullatoria contenuta nella sentenza medesima: e' evidente, infatti,
che  soltanto  in   ipotesi   di   reiezione   della   questione   di
incostituzionalita'  prospettata   detti   contrapposti   motivi   di
doglianza potrebbero essere utilmente scrutinabili. 
    11.  Conclusivamente,  il  Collegio,  ritiene  che  il   presente
giudizio debba essere sospeso e gli atti vadano trasmessi alla  Corte
costituzionale.